La questione delle precedenze, nella riunione ad Ankara del 7 aprile 2021, è stata ampiamente analizzata e criticata, sulla stampa e sui media di ogni tipo. Sono stati sottolineati gli aspetti emergenti, dal punto di vista delle regole istituzionali e diplomatiche, da quello del galateo e delle buone maniere, da quello dei rapporti di genere, da quello delle conseguenze politiche e istituzionali (per una ricostruzione completa: Carlo Curti Gialdino, Un poltrona per due, in Piùeuropei, n. 77, 16-30 aprile 2021). Le polemiche si sono protratte per giorni e, come spesso succede trattandosi di questioni europee, non hanno prodotto nulla di concreto. Alcuni hanno ipotizzato di modificare i Trattati; altri sottolineato l’inutilità di questo tipo di intervento, auspicando un cambiamento delle prassi protocollari (L. Gianniti, Per imparare la lezione del sofagate non serve modificare i Trattati, www.affarinternazionali.it, 26 aprile 2021). L’incertezza regna sovrana.
È rimasto però sullo sfondo un problema sostanziale. L’Unione europea presenta un vertice ambiguo: due teste che riflettono le due anime che ne costituiscono l’impianto istituzionale. Il presidente del Consiglio europeo, in rappresentanza degli Stati; la Presidente della Commissione, in rappresentanza delle Istituzioni europee. Il concorso dei due metodi, intergovernativo e europeo, si riflette anche sulla struttura di vertice: l’art. 13 del TUE stabilisce un ordine delle precedenze che privilegia il Presidente del Consiglio sulla Presidente della Commissione; ma nel diritto vivente è ferma la regola della pariodinazione delle due cariche (anche se sul piano interno, più che su quello delle relazioni internazionali, parrebbe prevalere la posizione della Commissione su quella del Consiglio).
Ma è proprio questo il punto: come può un’istituzione sovrana non avere un vertice unico? Non si tratta di una scelta sulla base di una preferenza soggettiva (e io, come europeista convinto, non avrei dubbi da che parte stare). Ogni ente sovrano è dotato di simboli: una bandiera, uno stemma, un canto, un motto. E, last but not least, un capo dello stato. Conosco le obiezioni: l’Unione europea non è uno “stato”; anzi nasce proprio con la pretesa di non replicare lo “stato”; vuole unire i “popoli europei”; è dubbio che possa essere considerato un “ente sovrano”, e così via.
Mi chiedo, tuttavia, se l’Unione europea, al di là della sua natura ermafrodita (per usare una felice, quanto pesante, espressione di Giuliano Amato) possa rinunciare ai simboli del potere. E, tra questi, proprio a un soggetto che la identifichi nella sua unità politica. La verità è che l’Unione europea è nata e resta un’istituzione politica ambigua, che non ha ancora risolto la questione della sua identità. La questione delle precedenze, dunque, è solo uno spiacevole e imbarazzante incidente diplomatico. Dietro al sofagate v’è una enorme problema costituzionale. I simboli, specie quelli politici, sono realtà che richiamano altre realtà. In questo caso, una realtà indecisa, guarda caso proprio sul tema della sovranità, ossia, per dirla con linguaggio più disteso, sulla questione decisiva del dispositivo di governo di una comunità politica, incerto tra dimensione statale (quella dominante) e dimensione europea (che stenta a emergere). Da questo nodo cruciale, ancora oggi, dipendendo i maggiori conflitti in Europa e il suo oscuro avvenire.
L’avvio dei lavori, il 9 maggio, della Conferenza sul futuro dell’Europa rappresenta un’occasione importante. Non solo per discutere del post pandemia e delle misure che sono state già messe in campo e di quelle che verranno. Ma, soprattutto, per ripensare il volto dell’Unione europea per i prossimi anni. Le crisi (economiche, sociali, politiche) a questo dovrebbero servire: non per ripiegarsi su un passato che non torna, ma proprio per guardare con coraggio a un futuro sfidante, consapevoli dei problemi e sicuri di ciò che è necessario fare per superarli. Ciò implica, però, un progetto e una leadership. Anche sui simboli che identificano l’Europa unita e le istituzioni che la governano.