L’emergenza ambientale collegata ai cambiamenti climatici, posta all’attenzione del dibattito politico dai movimenti giovanili per il clima (come Ultima Generazione), sta diventando il punto di riferimento della riflessione dei costituzionalisti.
Il 12 maggio si è tenuto, presso l’Università LUISS Guido Carli, il Seminario dell’Associazione italiana dei costituzionalisti “La cultura dell’ambiente nell’evoluzione costituzionale” che ha visto la partecipazione di svariati studiosi. Le relazioni (per intero disponibili su Radio radicale) consegnano alcune parole chiave che delineano il tracciato costituzionale di tutela ambientale: clima e tutela dei diritti fondamentali; antagonismo e bilanciamento; competenze e articolazione territoriale dello Stato; sostenibilità; giustizia climatica e generazioni future.
I lavori sono aperti da Raffaele Bifulco, il quale pone subito al centro del dibatto la questione climatica, da molti ritenuta la grande assente nella riforma che nel 2022 ha fatto entrare «dal portone principale» dei principi fondamentali la tutela dell’ambiente. Si tratta di una tendenza comune alla maggior parte dei paesi europei (v. anche D. Amirante), che sembra tradire, però, una intentio legislatoris al silenzio per la peculiarità di un tema, quale il cambiamento climatico, che travalica i confini statali. La domanda è se il clima possa dirsi o meno compreso nel portato della legge costituzionale 1/2022. Il punto di partenza, che guarda alla definizione scientifica di clima, è la interdipendenza tra ambiente e cambiamento climatico, chiaramente intuibile se si guarda al rapporto tra la straordinaria varietà di ecosistemi esistenti sulla terra e il diverso tipo di clima di cui essi necessitano. In questa prospettiva, l’inserimento in costituzione del riferimento agli ecosistemi (art. 9 comma 3 Cost.) permette di affermare che la loro tutela implica, giocoforza, una lotta al cambiamento climatico. Così, il clima è la precondizione per la tutela dell’ambiente e delle sue parti costitutive, determinandosi un rapporto di strumentalità tra ecosistemi e clima. Possono quindi ritenersi superate le polemiche sulla portata innovativa della riforma. Il secondo punto e riguarda il soggetto su cui ricade l’azione di tutela, la Repubblica. Oltre all’idea di un dovere pubblico di tutela e garanzia, espresso in una direzione verticale (dal pubblico al privato), viene in considerazione una dimensione più propriamente orizzontale, attraverso il collegamento tra l’art. 9 comma 3 e l’art. 41 comma 2 Cost. Questo dovere trova poi piena valorizzazione nelle norme internazionali per il tramite dei cd. «trasformatori costituzionali» di cui agli artt. 10, 11 e 117 primo comma Cost.: a partire da momenti più recenti (v. Paris Agreement), gli stati si sono obbligati in maniera volontaria a indicare le proprie attività per contrastare il cambiamento climatico. Anche l’UE, con il regolamento 1119/2021, ha indicato nella neutralità climatica la via per contrastare tale fenomeno. Dunque, la riforma costituzionale è senz’altro utile ma non sufficiente. Conclusivamente, le proposte sono: 1) ripensare la conservazione dell’ambiente come precondizione dei diritti di libertà; 2) estendere o rafforzare la doppia dimensione dei diritti di libertà; 3) sviluppare una visione prospettica della lesione dei diritti di libertà. In questo senso non mancano riflessioni che consentono di seguire tale tracciato: il riferimento va ad A. Barbera nella teorizzazione del rapporto che sussiste tra dignità umana e diritti fondamentali.
Prende poi la parola Federica Fabrizzi a cui è affidata una relazione volta a mettere in luce i rapporti che sussistono tra paesaggio e ambiente, in termini di conflitto e composizione. In sintesi, la tesi esposta muove dall’idea secondo cui anche a voler vedere composti gli elementi del problema (ambiente e paesaggio), non si può dire che siano stati superati tutti i contrasti. È evidente, quindi, che la questione ambientale porti con sé, naturalmente, il conflitto perché essa è sintesi di molteplici interessi, tali per cui non sia possibile fuggire da una dinamica antagonista. La soluzione quindi si ritrova, ancora una volta, nel bilanciamento, ancorché possano definirsi diverse tipologie di valutazione del bilanciamento. In questo senso, se si muove dalla considerazione secondo cui sia il legislatore, sia le Corti sono – giocoforza – chiamate a operare per il tramite della tecnica del bilanciamento, si corre il rischio, come già accaduto, che la costituzione diventi «ciò che le corti dicono che essa sia». Allora, e qui la tesi conclusiva che guarda alla riforma del 2022, la revisione costituzionale va salutata con favore. Le ragioni sono chiare: con la menzionata riforma si ristabilisce la centralità del parlamento (è al legislatore, e in particolare al legislatore costituzionale, che spetta individuare nuovi diritti). Tuttavia, tale ampliamento, richiamerà nuove occasioni di conflitto, da risolversi con il bilanciamento.
Interviene poi Giulio Salerno. L’approccio della sua relazione, avente a oggetto l’articolazione delle competenze Stato e Regioni in materia ambientale, muove da una nozione unitaria delle competenze degli enti pubblici che si collegano, per l’appunto, alla politica ambientale. Per fare ciò, è necessario adottare uno sguardo per così dire storico, anche con riferimento alla giurisprudenza costituzionale. Le sentenze che hanno segnato questo cammino sono la n. 142/1972, in cui si riconosce alle regioni, con legge, di poter espandere le proprie competenze normative e la sentenza 183/1997 con cui, per il tramite della interpretazione teleologica di una serie di materie attribuite alle regioni ex art. 117, si desume la competenza costituzionalmente garantita a queste ultime in materia di protezione ambientale. Lo spartiacque è, ovviamente, l’anno 2001 che, con la riforma costituzionale, ridisegna l’assetto dell’articolo 117 Cost. La sentenza che consegna, quindi, allo studioso il quadro interpretativo del nuovo assetto di competenze, in connessione al tema ambientale, è la nota sentenza 407/2002 con cui il Giudice delle leggi qualifica la materia ambientale come trasversale, consentendo la conservazione del potere statale per esigenze meritevoli di tutela sull’intero territorio nazionale e mantenere, al contempo, il patrimonio di competenze regionali sulla stessa materia (sotto l’ombrello delle competenze concorrenti o residuali). Decidendo in questo modo, la Corte sceglie di non ridimensionare le competenze regionali. Il problema allora sorge con riguardo alla identificazione di cosa sia concretamente l’interesse unitario e quando invece possa esplicarsi la competenza regionale. In questo senso, la Corte si muoverà su taluni binari essenziali: in un primo caso cercherà di circoscrivere la possibilità delle deroghe regionali rispetto ai valori soglia fissati dallo stato al fine di identificare quel punto di giusta compensazione tra tutela dell’ambiente e attività economiche. Tuttavia, in questa dinamica di contesa, un punto critico è senz’altro rappresentato dalla circoscrizione dei cd. principi fondamentali della materia che, nella giurisprudenza costituzionale, hanno invece subito una lettura fortemente estensiva (spesso, tutta la disciplina dello Stato diveniva principio fondamentale). Infine, sugli effetti della nuova riforma sul piano dell’articolazione delle competenze, è da evidenziarsi come esso potrà svolgere una funzione interpretativa delle altre disposizioni costituzionali e determinerà, al contempo, una espansione delle competenze pubbliche. Anche se – sottolinea il relatore – dopo la riforma del 2022 non si è ancora notato un esplicito riferimento ad essa nelle decisioni della Corte costituzionale, se non nella sentenza 11/2023 in cui si valorizza l’interesse delle generazioni future.
Nella seconda parte del seminario, il dibattito è aperto da Antonio D’Aloia che, con una relazione che congiunge mutamento climatico e costituzionalismo ambientale, individua nel futuro la traccia del problema. In questi termini, l’ambiente non è più semplicemente un oggetto della regolazione, ma si pone al di sopra e al di fuori della stessa, chiamando in causa la ridefinizione di taluni elementi essenziali al diritto pubblico come il politico (statale vs. globale) e il rapporto tra diritti e doveri, ora influenzato dalla consapevolezza che l’uomo del presente possa agire in modo irreversibile sul futuro. Tra le tematiche ambientali che vanno acquisendo centralità nel discorso pubblico vi è senz’altro il tema della sostenibilità che diviene nuovo paradigma costituzionale, al pari di altre idee guida come diritti e libertà. Con esso, così, si pone il problema della «sostenibilità della sostenibilità» giacché si va a porre l’accento sul rapporto tra costituzionalismo ambientale e giustizia sociale. Ciò richiede, nella sostanza, la costruzione di un nuovo ordine sociale, dentro e fuori i confini nazionali. In questo senso, anche un superamento della parzialità dei meccanismi democratici può rappresentare la strada maestra per estendere anche alla tutela del futuro in chiave di responsabilità. Sull’impatto della riforma costituzionale (se compilativa o, invece, innovativa) vengono richiamate le tesi esposte da A. Morrone che ricorda come ogni modifica espressa della Costituzione non ha mai un senso equivalente all’opera interpretativa del testo stesso, ma esprime un aggiornamento della teleologia costituzionale. Sulla riforma costituzionale un punto di interesse, anche alla luce del concetto di sostenibilità, è la relazione tra gli art. 41 e 9 Cost. che rappresentano, nel loro essere unitario, il simbolo di un «ri-orientamento ecologico del sistema costituzionale». Tale novità porta con sé un mutamento nella idea classica del bilanciamento tra istanze antagoniste poiché ora l’economia ingloba e incorpora – nel suo dispiegarsi quotidiano – le istanze ambientali (v. recente sent. C.d.S., n. 8167/2022).
Prende poi la parola Daniele Porena, chiamato a riflettere sul fenomeno del climate change litigation. In particolare, la relazione muove dalla constatazione che le questioni giuridiche relative al cambiamento climatico, e la natura stessa dalla obbligazione climatica, sono chiaramente connesse alla tutela delle generazioni future (con le parole di H. Jonas, preservare la stessa vita umana sulla terra). Se le finalità sono note e chiare, così non è per il concetto di giustizia climatica, che si contraddistingue per una, ovvia, natura polisemica. Da una parte un portato precipuamente filosofico-politico, e quindi la volontà di perseguire con essa, un ideale di giustizia intergenerazionale e intragenerazionale (in questo secondo caso, da identificarsi nel rapporto tra paesi sviluppati e in via di sviluppo). Dall’altra, una dimensione più tecnico-giuridica del significato di giustizia climatica, che si biforca in due diversi fronti: quello positivo che guarda alla natura delle obbligazioni climatiche e quello processuale che guarda alla conseguente crescita e diffusione del cd. climate change litigation. Questo chiama a una riflessione sul cd. diritto al clima e alle relative responsabilità. I casi esaminati, e che possono definirsi emblematici del fenomeno in esame, sono il caso Urgenda, l’Affaire du siècle e la nota sentenza del BVerfG del 2021. Tutte queste sentenze dimostrano che il climate change litigation assume sempre più diffusamente un “tono costituzionale”. Tale circostanza non è irrilevante, giacché per il tramite di un cd. climate constitutionalism si tenta di superare, attraverso l’autorità delle costituzioni, talune fragilità tipiche del diritto internazionale. Sul dibattito circa la portata innovativa della riforma e dell’assenza di qualsivoglia riferimento al clima, si è sostenuto che, per il tramite della espressa previsione degli ecosistemi (insieme al riferimento alle generazioni future) possa dirsi che si è di fronte a un ancoraggio costituzionale per il clima. Ciò potrà senz’altro rafforzare le controversie climatiche, in ispecie (e preferibilmente) davanti ai giudici amministrativi.
Conclude Stefano Grassi, che per primo pone l’accento sulla necessità di promuovere un vero dibattito sulla riforma costituzionale e individua a tal fine talune traiettorie di ricerca. La prima che guarda al rapporto tra ambiente e stato costituzionale e in particolare alla considerazione della dimensione sociale. In questo senso è da chiedersi se il contesto sociale di riferimento abbia o meno assorbito la riforma costituzionale del 2022. In altre parole, e guardando alle considerazioni di A. Barbera nella voce enciclopedica Costituzione, emerge la necessità di collegare le nuove parole che, con la riforma del 2022, hanno fatto ingresso in costituzione, con la realtà sociale. Il secondo punto che merita una approfondita riflessione da parte della dottrina riguarda la tesi che vi sia un diritto all’ambiente. Ciò, richiede un esame di cosa s’intende per ambiente e delle implicazioni che tale considerazione ha sulla costituzione, se, in altre parole questo determini una riconduzione del nostro ordinamento costituzionale nella dimensione del costituzionalismo ambientale. Un altro punto che richiede un approfondimento riguarda le conseguenze della portata innovativa della riforma e delle nuove parole che entrano in Costituzione, per il relatore la loro intrinseca aleatorietà chiama in causa il legislatore a che sviluppi i nuovi principi costituzionali in norme di dettaglio. Ciò rappresenta una operazione assai complessa perché detta riforma, e le novità che porta seco, debbono essere lette alla luce del contesto internazionale ed europeo di tutela dell’ambiente. Senza dubbio, la grande novità è rappresentata dal novellato art. 41 Cost. che, non soltanto rappresenta un cambio di paradigma per la costituzione economica, ma in cui si concentrano, altresì, confitti di difficile risoluzione e che involvono il rapporto tra ambiente e attività economiche. La risoluzione degli anzidetti conflitti – e la giurisprudenza costituzionale conferma tale tesi – chiama in causa interventi concreti, ove spesso è l’amministrazione a individuare la soluzione puntuale. Infine, in tema di clima di giustizia climatica, il filone di ricerca deve interrogarsi sul rapporto tra questi e lo stato costituzionale che è precipuamente uno stato che si fonda sui diritti della persona.
Il seminario e le relazioni che lo compongono consegnano agli studiosi di diritto costituzionale un prontuario di quesiti e linee di ricerca da sviluppare nel futuro. I filoni non mancano e ognuno di essi richiede adeguati approfondimenti: dalle questioni dogmatiche che involvono la tutela giuridica delle generazioni future, alla previsione di una sistematica delle norme ambientali internazionali, europee ed interne, nella loro intricata relazione. Sulla prima questione, ossia la tutela delle generazioni future, è necessario un riferimento a due elementi dello stato costituzionale: la rappresentanza (politica) e la dimensione intertemporale dei testi costituzionali. Da questi due elementi, al di là della classica dicotomia diritti/doveri, è necessario muovere la riflessione scientifica. Sul rapporto tra paesaggio e ambiente, l’attenzione va alla tecnica del bilanciamento che non muta nei suoi elementi essenziali. Invero, la richiamata sentenza del Consiglio di Stato (C.d.S., sent. n. 8167/2022, cons. dir., par. 5) non individua un nuovo ordine assiologico ma, nelle sue conclusioni richiama l’attenzione su un bilanciamento concreto, svolto dall’amministrazione. Si legge, infatti: «l’Amministrazione, in sede di riedizione del potere, dovrà questa volta ricercare non già il totale sacrificio dell’uso produttivo di energia pulita delle aree contigue alle croci votive, secondo una logica meramente inibitoria, bensì una soluzione comparativa e dialettica fra le esigenze dello sviluppo sostenibile e quelle afferenti al paesaggio culturale». Ancora, e brevemente, sul fenomeno del climate change litigation gli studi, oltre a valorizzarne il portato sociale, dovranno però interrogarsi sulle conseguenze dello stesso. In particolare, sul principio di separazione dei poteri alla luce del fenomeno di sovraesposizione delle Corti e sulla sovranità statale, per citarne giusto alcuni.
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