La proposta di regolamento (che risponde ad auspici del Consiglio europeo e del Parlamento e onora accordi presi nell’ambito della WTO) si inserisce nel quadro della nuova Strategia industriale europea e fa seguito all’adozione del Libro bianco sulle pari condizioni di concorrenza in materia di sovvenzioni estere. Il testo ambisce a rendere più solido il ruolo dell’UE nel commercio internazionale e nella politica industriale, in linea con quella Open strategic autonomy che unisce apertura del (e responsabilità nel) mercato interno.
Il citato Libro bianco ha rilevato come nessuno degli strumenti normativi vigenti è idoneo a impedire gli effetti distorsivi sul mercato delle sovvenzioni concesse da governi di Stati terzi a favore di operatori economici attivi nell’UE. La lacuna, si legge, riguarda i flussi finanziari a favore dell’acquisizione e del finanziamento di imprese operanti all'interno dell'Unione. Tale situazione può comprendere, oltre i casi di imprese europee ricapitalizzate dall’estero, anche «i casi di imprese beneficiarie detenute o controllate in ultima istanza da una società non avente sede nell’UE o da un governo straniero». La stessa criticità riguarda anche le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici e di accesso al sostegno finanziario dell’UE.
Lo scopo ultimo della proposta è di evitare che tali sovvenzioni compromettano il corretto funzionamento del mercato interno e, quindi, il level playing field tra imprese. Difatti, se i finanziamenti fossero concessi dagli Stati membri (e valutati sulla base della normativa in materia di aiuti di Stato) potrebbero potenzialmente risultare illegittimi. Tale differenza di trattamento, come recentemente rilevato dalla Corte dei conti, può distorcere «la concorrenza nel mercato interno dell’UE e rende[re] difficile per l’UE garantire parità di condizioni per le proprie imprese e i propri investimenti».
Nonostante manchino dati certi sulla natura e il volume delle sovvenzioni concesse da Stati terzi, la proposta dà atto della costante crescita dei casi in cui esse sembrano aver agevolato l’acquisizione di imprese, condizionato investimenti, falsato gli scambi di servizi o altrimenti inciso sul comportamento degli operatori di mercato.
Peraltro, proprio il fatto che la Commissione, nella proposta, non fornisca dati precisi sul punto (anche se qualcosa di più approfondito è ricavabile dalle statistiche FATS di Eurostat) potrebbe suggerire che le preoccupazioni siano orientate verso specifici casi, non resi noti, presumibilmente di origine cinese, vista l’attenzione riservata a tale Stato da parte delle istituzioni europee. La menzionata relazione della Corte dei Conti, ad esempio, aveva ad oggetto i possibili effetti negativi della “strategia di investimenti guidati dallo Stato [cinese]” che, insieme a “Made in China 2025”, rappresenta la più importante strategia di investimenti varata dalla Cina per l’accrescimento della sua influenza all’estero. Lo stesso Parlamento aveva espresso«preoccupazione per la concorrenza distorsiva, finanziata dallo Stato, delle imprese cinesi [...] che acquisiscono imprese europee». D’altro canto, negli ultimi dieci anni si sono verificate importanti acquisizioni di imprese europee da parte di investitori finanziati dal governo cinese che sembrano giustificare tali preoccupazioni: si pensi agli investimenti nella rete elettrica portoghese del 2012, all’acquisizione di Pirelli da parte di ChemChina del 2015, o, ancora, alla vendita di Logicor a China Investment Corporation avvenuta nel 2017; più di recente, anche la Libera Università di Amsterdam, non senza clamore, ha beneficiato di finanziamenti del governo cinese.
Per quanto concerne il contenuto della proposta, essa si applica alle sole sovvenzioni e non agli investimenti esteri diretti (resta ferma, infatti, l’applicazione del regolamento sugli investimenti esteri diretti nell’UE, del regolamento sull’applicazione delle regole di concorrenza e di quello relativo al controllo delle concentrazioni tra imprese).
Al fine di verificare la legittimità dei contributi finanziari pubblici di origine straniera e di correggerne gli effetti distorsivi, la Commissione ha proposto tre sistemi di notifica: uno per le concentrazioni in cui il fatturato della società da acquisire (o di almeno una delle parti che partecipano alla fusione) sia pari o superiore a 500 mln di euro e il contributo finanziario estero sia pari almeno a 50 mln di euro; uno per gli appalti pubblici dove il valore stimato dell’appalto è pari o superiore a 250 mln di euro; uno attivabile d’ufficio dalla Commissione al fine di indagare situazioni di mercato, concentrazioni e procedure di appalto pubblico minori.
Qualora riscontri una distorsione del mercato interno (effettiva o potenziale) ad opera di una sovvenzione estera, la Commissione può imporre misure di riparazione, così come l’impresa interessata può offrire impegni, enucleati all’art. 6, par. 3, della proposta: l’elenco deve ritenersi non tassativo, recitando espressamente che gli impegni o le misure di riparazione «possono consistere», inter alia, nella riduzione della capacità o della presenza sul mercato, nella decisione di astenersi da determinati investimenti, nella cessione di determinate attività, nel rimborso della sovvenzione estera. Le misure di riparazione della proposta si basano, almeno in parte, sui provvedimenti applicati nel settore del controllo degli aiuti di Stato, la cui disciplina è inevitabilmente rievocabile.
La proposta di regolamento, che è stata ben accolta dagli stakeholder, seppur pregevole per lo scopo che persegue, presenta delle criticità che meritano di essere brevemente evidenziate.
In primo luogo, come evidenziato dal CESE, dovrebbe essere meglio precisato l’ambito di applicazione della proposta. Sebbene essa riguardi le sole sovvenzioni, il rapporto con la disciplina sul controllo degli investimenti esteri diretti, rimesso agli Stati, rappresenta uno dei profili più problematici: non è da escludere che la sottile linea di demarcazione tra le due discipline possa condurre a un’applicazione disomogenea del regolamento da parte dei Paesi membri.
Non solo: anche il rapporto con il regime di controllo delle concentrazioni è auspicabile venga chiarito, anche e soprattutto al fine di evitare inutili e gravosi oneri procedurali a carico delle imprese che operano all’interno dell’UE. I sistemi di notifica disciplinati nella proposta di regolamento introducono un ulteriore carico burocratico per le imprese. Non è inverosimile che una stessa operazione possa essere soggetta a tre diversi procedimenti: la procedura di controllo delle concentrazioni, la verifica degli investimenti esteri diretti e il controllo delle sovvenzioni estere, ognuna caratterizzata da tempistiche e regole procedurali diverse. Ne segue l’esigenza che la Commissione chiarisca i confini dell’applicazione del nuovo regime, la cui attuale conformazione rischia di determinare un quadro giuridico incerto o, comunque, di causare seri rallentamenti (se non veri e propri impedimenti) al completamento di operazioni di M&A, di joint venture e, non da ultimo, di appalti pubblici.
In secondo luogo, prima di imporre eventuali misure di riparazione, la Commissione, ai sensi dell’art. 5 della proposta, valuta la sovvenzione estera, bilanciandone gli effetti negativi sul mercato interno e gli effetti positivi sullo sviluppo dell’attività economica oggetto dell’operazione. L’importanza di tale valutazione richiederebbe che la Commissione fornisse indicazioni più precise su come venga effettuata in concreto, definendo quali potrebbero essere gli effetti positivi o quando il bilanciamento sia eventualmente ammissibile.
Un ultimo profilo critico concerne la definizione stessa di «distorsione sul mercato interno», la cui interpretazione (e applicazione) potrebbe risultare assai problematica. Una distorsione del mercato interno, a norma dell’art. 3 della proposta, si verifica quando una sovvenzione estera è in grado di migliorare la posizione competitiva dell’impresa, incidendo effettivamente o potenzialmente in modo distorsivo sulla concorrenza nel mercato interno. Orbene, l’art. 3, così come l’art. 4 e i considerando nn. 13 e 14 – che enunciano le condizioni idonee a falsare il mercato interno ed esemplificano le sovvenzioni che hanno maggiori probabilità di provocare un effetto distorsivo – non consentono di comprendere a fondo come tali condizioni possano prodursi in concreto. Né può giovare la nozione di «distorsione della concorrenza» utilizzata nella comunicazione della Commissione del luglio 2016 sulla nozione di aiuto di Stato: nel settore degli aiuti di Stato, la valutazione degli effetti dell’aiuto ha ad oggetto sia la distorsione della concorrenza che l’«incidenza sugli scambi», risultando la prima nozione precisata e specificata dalla seconda. Nondimeno, anche se i significati delle due formulazioni fossero sovrapponibili, ciò non escluderebbe il carattere generico e vago della formulazione. D’altronde, sebbene sia vero che una definizione elastica ha il merito di avocare a sé il più vasto numero di casi, è altrettanto vero che la nozione di «distorsione sul mercato interno» pare eccessivamente ampia, lasciando uno sproporzionato margine di discrezionalità in capo alla Commissione, a discapito, in primis, della tutela della certezza e della prevedibilità del diritto.
L’ampiezza della definizione assume un carattere ancora più critico se valutata con riferimento all’art. 47, par. 1, della proposta, che ne prevede l’applicazione anche alle sovvenzioni estere concesse nei dieci anni precedenti all’entrata in vigore, qualora tali sovvenzioni siano distorsive del mercato interno dopo l’inizio dell’applicazione del regolamento. Orbene, è difficile prevedere come potrebbero essere l’identificati gli eventuali effetti distorsivi di una sovvenzione estera (anche) a dieci anni dalla sua concessione. La previsione di un’applicazione retroattiva nella proposta di regolamento, peraltro, pone non pochi problemi in termini di rispetto dei principi di certezza del diritto e legittimo affidamento. Non è da escludere, inoltre, che l’applicazione retroattiva sia fonte di contenzioso tanto UE, quanto nazionale e internazionale. Il rischio concreto, infine, è che una siffatta disposizione possa indebolire la capacità del mercato interno di attrarre investitori stranieri.
La strategia della Commissione di adattare strumenti in un certo senso noti (sistemi di notifica, misure di riparazione e impegni) per colmare il divario sui sussidi esteri è ambiziosa. Sarà interessante, da un lato, verificare se e come verrà “ridimensionata” alla luce del dibattito legislativo in corso e, dall’altro lato, valutare l’impatto che avrà sulle tendenze degli investimenti esteri in Europa.
L’auspicio è che i punti più critici della proposta siano risolti, eventualmente attraverso l’adozione di linee guida. In ogni caso, avendo la Presidenza francese inserito il commercio internazionale (in particolare la regolamentazione delle sovvenzioni estere) tra le sue priorità, ci si potrebbe aspettare la chiusura della procedura entro fine giugno. Per il momento, l’atto è in prima lettura in Consiglio e il 24 febbraio 2022 si è tenuto il dibattito orientativo in sede di Consiglio “Competitività”. Considerando che la procedura legislativa ordinaria, quando termina in prima lettura, ha una durata media di 17 mesi, potrebbe essere un risultato conseguibile.