È obiettivamente temerario a un anno di distanza dalle elezioni europee formulare un’ipotesi accurata sulla composizione della prossima Assemblea, stante l’evidente mobilità degli elettorati e stante anche il fatto che buona parte delle motivazioni di voto in genere sono dovute all’approvazione o al rigetto dei Governi nazionali in carica, alcuni dei quali si insedieranno nei prossimi mesi dopo alcune elezioni politiche molto importanti (Grecia 25 giugno, Spagna 23 luglio, Slovacchia 30 settembre, Polonia ad ottobre).
Al momento è da notare che la principale fonte che raggruppa le medie dei sondaggi, il sito Europe elects, ci fa vedere che ci sarebbe una sostanziale stabilità, nel senso che i risultati dei vari Paesi tenderebbero in sostanza a compensarsi tra loro, anche a causa del fatto che si tratta di sistemi proporzionali che non amplificano gli spostamenti dei voti al momento di assegnare i seggi.
Il punto qualitativo che rivelano queste stime, ossia le compensazioni, è dovuto al fatto che in realtà gli elettori vivono le europee soprattutto come una somma di 27 elezioni nazionali diverse. Se così è, difficile che possano emergano trend complessivi univoci.
Ciò detto, ripartiamo dal più importante dato strutturale.
La composizione del Parlamento Europeo si gioca in larga parte in cinque Paesi, dove è assegnata poco più della metà dei seggi: Germania 96, Francia 79, Italia 76, Spagna 59, Polonia 52, per un totale di 362 su 705 (51,3%).
Dobbiamo quindi ragionare a partire da questi cinque casi e poi sommarli.
In Germania le europee del 2019 segnarono un exploit dei Verdi, arrivati allora secondi dietro la Cdu-Csu: possiamo ritenere, sulla base di tendenze da tempo consolidate, che i movimenti maggiori potrebbero riguardare il ridimensionamento dei Verdi, l’ulteriore crescita di Cdu-Csu e dell’Afd. Ci sarebbe qui uno spostamento a destra del quadro politico, non però ai danni della Spd che allora si fermò al 15,9%: difficile che possa fare peggio. Uno spostamento però difficilmente traducibile in termini politici perché l’Afd (collegata alla Lega nel Gruppo Id) è ritenuta non coalizzabile né sul piano interno né europeo.
In Francia la situazione dell’opinione pubblica appare molto variabile in questi mesi; nel 2019 ci fu una notevole frammentazione, che potrebbe anche riconfermarsi oggi.
Per l’Italia i trend maggiori dovrebbero essere il netto ridimensionamento della Lega, giunta allora al 34,3%, sostanzialmente compensata da Fdi, ferma allora al 6,4%: un gioco di riequilibri interni, quindi, ai due gruppi di Id (Lega) e Ecr (Fdi).
In Spagna, anche se verranno prima le politiche e quindi, poi, gli orientamenti potrebbero mutare molto rispetto a quelli odierni, assisteremo certo alla scomparsa di Ciudadanos (aderente al gruppo Liberale RE), che allora prese il 12% e che è scomparso dalla scena già per le politiche, ad un ridimensionamento del Psoe (che difficilmente potrà arrivare al 32,9% di allora) e a una probabile ascesa del PP e in misura minore di Vox, alleato di Meloni in Ecr (Pp e Vox presero allora rispettivamente il 20,1% e il 6,2%). Anche qui uno spostamento a destra, però non troppo marcato, soprattutto per l’annessione dei voti di Ciudadanos, ma dal punto di vista politico, al netto delle possibili evoluzioni del quadro interno, Pp e Vox sono al momento molto distanti, non quanto Cdu-Csu e Afd, ma comunque con rapporti problematici.
In Polonia al momento i sondaggi non sembrano dare risultati molto diversi da quelli delle europee 2019, dove arrivò di qualche punto in testa il Pis (aderente all’Ecr), seguito da una coalizione guidata da Tusk (aderente al Ppe), in scontro frontale tra loro, che impedisce anche una loro collaborazione europea.
Con questo sguardo d’insieme risulta quindi piuttosto ridimensionata l’impressione di una crisi molto forte del gruppo dei socialisti e democratici in seguito alle ultime elezioni nazionali italiane e greche e a quelle imminenti in Spagna e alla scarsa popolarità di Scholz in Germania. Nelle europee del 2019 il gruppo di centrosinistra era già andato male in tutti questi Paesi, tranne la Spagna. Anche vi fosse un ridimensionamento in seggi sarebbe minimale.
Anche il successo di gruppi situati alla destra del Ppe, qualora vi fosse, non porterebbe necessariamente alla loro coalizzabilità (senz’altro per Afd e per il Pis, forse per Vox). Può anche darsi che qualcuna di queste forze venga cooptata in maggioranza su spinta di alleati nazionali, come Fdi anche grazie a Forza Italia, ma ad oggi non appare credibile una maggioranza che vada solo dal centro alla destra, escludendo i socialisti e democratici. La Grande Coalizione dovrebbe confermarsi, forse con la stessa Presidente della Commissione; niente però esclude che possa diventare un po’ più larga.

 

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