La sentenza del 29 aprile scorso mette fine ad un’annosa vicenda culminata un anno fa, quando la Corte costituzionale tedesca (CC) aveva affermato, nella sentenza emessa il 5 maggio 2020, che la Banca centrale europea (BCE) aveva mancato di valutare e giustificare se la misura di quantitative easing (QE) soddisfaceva il principio di proporzionalità. La CC, inoltre, aveva ritenuto che le misure QE fossero da annullare poiché ultra vires, in quanto adottate da un’autorità incompetente. Di conseguenza, aveva sentenziato che il Governo tedesco e il Parlamento federale (Bundestag) avevano violato il principio democratico di autodeterminazione dei ricorrenti, poiché non si erano attivati in modo sufficiente per controllare e limitare l’azione della BCE.

Dal marzo 2015 e fino all'aprile 2020 la BCE aveva dato mandato alle banche centrali dei 18 Stati membri della zona euro, con l'esclusione della Grecia, di acquistare obbligazioni per 2.291.511 milioni di euro. Così, l'Eurosistema aveva acquistato obbligazioni tedesche per 533.875 milioni di euro, francesi per 451.644 milioni di euro e italiane per 393.380 milioni di euro.
La Corte costituzionale tedesca, in via pregiudiziale, aveva sottoposto alla Corte di giustizia UE (CGUE) diverse questioni relative alla compatibilità di tali misure di QE con i Trattati UE (2 BvR 859/15). La CGUE aveva invece stabilito, nel dicembre 2018, che le decisioni relative al programma di QE erano state prese dalla BCE nell'ambito del suo mandato, consentendole di condurre il programma QE (C-493/17, Weiss).
Il contenuto di questa sentenza fu criticato dalla CC nella sentenza del 5 maggio 2020 (BVerfG, 5 May 2020 - 2 BvR 859/15).
Un primo argomento riguardava la possibilità di mantenere la politica monetaria e la politica economica assolutamente separate. Le due corti si ispirano a concetti diversi. Secondo la CGUE, i Trattati non consentono di separare in modo assoluto la politica monetaria dalla politica economica. Da qui la necessità di affidarsi alla BCE che, nella sua competenza tecnica, può determinare quali strumenti di politica monetaria utilizzare per raggiungere l'obiettivo della stabilità dei prezzi (tassi di inflazione inferiori, ma prossimi al 2% a medio termine).  Il fatto che gli strumenti di politica monetaria possano avere effetti di politica economica non è di per sé discutibile, sostiene la CGUE: il SEBC, il sistema che unisce la BCE e le banche centrali nazionali, deve adottare misure che abbiano effetti sull'economia reale per essere efficaci. La CC sosteneva, invece, che il programma QE non rientrava nel campo della politica monetaria – per il quale la BCE è competente – ma riguardava l'area della politica economica. Questa critica si basava sulla constatazione che era stato acquistato un elevato volume di titoli e per periodi prolungati, rendendo le misure QE, di fatto, uno strumento di politica economica.
In secondo luogo, la CGUE riteneva che alla BCE dovesse essere concesso un ampio margine di discrezionalità, in considerazione del suo ruolo tecnico. Essa affermava che la decisione della BCE non era viziata da un errore manifesto di valutazione, in quanto si basava su una serie di studi e relazioni. I documenti pubblicati dalla BCE che mostravano la diminuzione del tasso di inflazione annuale – e in particolare che il tasso nel dicembre 2014 non era superiore a -0,2% – e i diversi studi e rapporti che testimoniavano come la pratica dell’acquisto di titoli di Stato fosse pratica comune delle più importanti banche centrali nel mondo, furono ritenuti sufficienti a dimostrare che la decisione della BCE non era viziata da un errore manifesto di valutazione. Né il programma andava al di là di quanto era necessario per ottenere un aumento dell'inflazione, in quanto la BCE non disponeva di altri strumenti. Ciò era desumibile dal fatto che la BCE aveva deciso di approvare il programma PSPP dopo che l'acquisto di titoli del settore privato si era rivelato insufficiente per raggiungere l'obiettivo di aumentare il tasso d'interesse.
Per escludere la violazione del principio di proporzionalità, la CGUE aveva tenuto conto anche di una serie di condizioni che la BCE aveva posto alla procedura di acquisto per limitare la sua azione. Tali clausole possono essere riassunte come segue: applicazione uniforme e temporanea, presenza di criteri di ammissibilità, carattere sussidiario del programma, limitata condivisione del rischio e distribuzione degli acquisti secondo lo schema di capitale della BCE. Queste giustificazioni erano state respinte con forza dalla CC, secondo la quale la CGUE non rispettava il principio di proporzionalità. Secondo la CC l’interpretazione della CGUE era errata e consentiva alla BCE di ampliare gradualmente le proprie competenze senza alcun controllo giurisdizionale.
Il Tribunale, infine, si era spinto fino a mettere in dubbio la competenza stessa della CGUE, ritenendo che essa fosse andata al di là di quanto stabilisce il mandato conferitole dai Trattati; la CC definisce la sentenza ultra vires, poiché emanata da un organo incompetente. Così, la CC tedesca si era sostituita alla CGUE e affermava di voler utilizzare un diverso standard di valutazione per stabilire se la BCE fosse competente ad adottare il programma di QE, ispirandosi a una serie di passate sentenze (Maastricht, Lisbona, OMT) ove essa stessa aveva affermato il primato degli Stati membri sull’Unione, in ragione del mancato sviluppo dell’UE in senso federale. 

Le conseguenze della sentenza della CC del 5 maggio potevano avere un effetto disastroso per lo sviluppo dell’Unione europea. Secondo la CC, la decisione della CGUE non doveva essere applicata in Germania e non aveva alcun effetto vincolante per gli organi costituzionali, le autorità amministrative e i tribunali tedeschi. Pertanto, la CC invitava governo tedesco e il Bundestag a garantire che la BCE effettuasse una nuova valutazione di proporzionalità degli acquisti di titoli nell’ambito del programma QE. La Bundesbank, a sua volta, non avrebbe potuto più partecipare al programma QE a meno che il Consiglio direttivo della BCE non avesse preso una nuova decisione e dimostrato in modo comprensibile e motivato che la misura era proporzionata. Ciò significava, in pratica, che la BCE avrebbe dovuto iniziare a vendere i titoli in suo possesso, a meno che non avesse trovato un coordinamento con l’Eurosistema entro il periodo transitorio di tre mesi. 

In seguito alla sentenza della CC, le istituzioni europee avevano mantenuto la propria posizione. Nella riunione del 3-4 giugno 2020, il Consiglio direttivo della BCE aveva adottato due decisioni dove si riaffermava la proporzionalità del QE. Il 26 giugno 2020 la Bundesbank aveva consegnato al Ministero federale delle finanze alcuni documenti della BCE, alcuni dei quali riservati, poi trasmessi al Bundestag e messi a disposizione dei suoi membri. Infine, il 2 luglio 2020, il Bundestag aveva adottato, ad ampia maggioranza, una risoluzione secondo la quale la valutazione di proporzionalità condotta dal Consiglio direttivo della BCE soddisfaceva i requisiti stabiliti nella sentenza della Corte del 5 maggio 2020.

La decisione del 29 aprile 2021 manifesta il self-restraint della CC, enfatizzando il principio di separazione dei poteri che regola i rapporti fra le istituzioni nell’ordinamento tedesco. In primo luogo, la CC riconosce che il governo federale e il Bundestag, in collaborazione con la BCE, hanno adottato misure nel rispetto della sentenza. Queste istituzioni dispongono di un ampio margine di apprezzamento, valutazione e manovra, che verrebbe superato solo se non intervenissero o se le misure normative adottate fossero evidentemente inadatte o del tutto insufficienti a raggiungere lo scopo. Nel caso specifico, i ricorrenti non hanno dimostrato che le misure adottate dalle istituzioni tedesche, insieme alla BCE e la Bundesbank, fossero al di sotto di questi requisiti.
Il Parlamento tedesco ha tenuto in plenaria un dibattito su questioni di attualità, mentre la Commissione per gli affari dell'UE ha tenuto un'audizione pubblica sul tema. Infine, il centro studi e ricerche del Parlamento tedesco ha fornito un'analisi della compatibilità del QE con il diritto dell'UE e ha pubblicato altre informazioni sulle decisioni di politica monetaria prese dal Consiglio direttivo della BCE il 3-4 giugno 2020.
Da questo punto di vista, risultano fondamentali le valutazioni effettuate dal Consiglio direttivo della BCE nella riunione del 3-4 giugno 2020, poiché concernenti proprio la proporzionalità del QE. In tale riunione il Consiglio direttivo ha valutato i costi e i benefici degli acquisti di titoli e ha discusso non solo delle potenziali interazioni tra la politica monetaria e la politica fiscale, ma anche del rischio di dominanza fiscale e delle garanzie per creare incentivi per politiche fiscali sane. Su questa base, il Consiglio ha concluso che gli acquisti di QE hanno contribuito positivamente alla crescita economica e all’inflazione nella zona euro (“in overall macroeconomic terms, asset purchases had made a very significant positive contribution to both economic growth and inflation in the euro area”).
Particolarmente rilevante è la parte della sentenza della CC ove si riconosce che la correttezza della valutazione di proporzionalità della BCE è stata dibattuta e, infine, votata in modo positivo dalla plenaria del Bundestag. In tale sessione, infatti, è stato riconosciuto che il Consiglio direttivo della BCE, sia nella riunione del 3-4 giugno sia in precedenza, ha eseguito correttamente l’analisi sulla proporzionalità del programma QE, analizzando gli effetti reali che il QE potrebbe avere sulle finanze degli Stati membri, sulle famiglie, sul risparmio e l'indebitamento, sul settore bancario e sulle imprese, e che tali effetti sono stati ponderati e bilanciati rispetto all'obiettivo del QE di aumentare i tassi di inflazione a livelli inferiori ma vicini al 2%. Una conclusione simile è stata raggiunta dal governo federale.

Si allontana così quella sfida tra corti (CC e CGUE) che era stata prospettata dalla sentenza tedesca del 5 maggio. Sarà interessante vedere in che modo tale sentenza influirà sulla teoria politica a base dell’unione monetaria europea. La crisi attuale, infatti, sembra aver condotto a una nuova fase di "liberalismo integrativo", caratterizzato dal funzionamento dello Stato in modalità correttiva, che sostiene, organizza e finanzia i mercati.