Il 14 marzo 2023 la Commissione Politiche dell’Unione Europea del Senato ha approvato una risoluzione con parere negativo, avente ad oggetto una proposta di regolamento europeo relativa al mutuo riconoscimento dello stato di figlio all’interno dell’Unione.
La proposta europea ha un duplice contenuto, in quanto, nel prevedere il mutuo e automatico riconoscimento degli atti di nascita formati in uno Stato membro dell’UE, individua uno strumento ulteriore: il certificato europeo di filiazione. Essa si inserisce in un contesto nel quale la Corte di Giustizia UE (sentenza 14 dicembre 2021, causa C-490/20, V.М.А. c. Stolichna obshtina, rayon “Pancharevo”) ha riconosciuto, applicando l’art. 21 TFUE e la direttiva 2004/38/CE in tema di diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che ai genitori (nel caso di specie, due donne) di un cittadino minorenne dell’Unione, riconosciuti come tali da uno Stato membro dell’Unione, debba essere garantito da parte di tutti gli Stati membri il diritto di accompagnare tale minore nell’esercizio del suo diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio dell’UE. La Corte di Giustizia ha avuto modo di precisare che, sebbene lo status delle persone sia riconosciuto come rientrante nelle materie di competenza esclusiva degli Stati membri, le autorità di uno Stato membro sono tenute a riconoscere il rapporto di filiazione come costituitosi all’interno di altro Stato membro, così da garantire l’effettività del diritto di circolazione e soggiorno per il minore.
La risoluzione costituisce atto di indirizzo al Governo ai sensi dell’art. 7 della legge 234 del 2012 e, dunque, è in grado di orientarne l’attività. Va ricordato che la proposta della Commissione UE è subordinata all’esame preliminare dei Parlamenti nazionali, che si esprimono con riferimento al rispetto dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità (con obbligo di riesame se un terzo dei parlamenti fornisce parere negativo), e su di essa dovrà in seguito deliberare il Consiglio all’unanimità.
Il parere negativo formulato dalla Commissione del Senato risiede nel mancato rispetto dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, in particolare relativamente all’obbligo di riconoscimento del certificato europeo di filiazione e all’obbligo di riconoscimento (con conseguente trascrizione) di decisioni giudiziarie o atti pubblici emessi da altro Stato membro e attestanti la filiazione. La Commissione Politiche dell’Unione Europea si riferisce ampiamente all’orientamento maturato nell’ambito della giurisprudenza di legittimità, con rinvio alla pronuncia a SS.UU. della Corte di Cassazione n. 38162 del 30 dicembre 2022 che, da un lato, ha negato la trascrivibilità automatica del provvedimento straniero di attestazione della genitorialità derivante da maternità surrogata (con rinvio al limite dell’ordine pubblico quale argine ad una pratica attualmente vietata dall’ordinamento italiano ai sensi dell’art. 12, comma 6 della legge 40 del 2004) e, dall’altro, ha individuato quale soluzione “tampone”, in assenza di un intervento legislativo ad hoc, l’applicabilità della disciplina dell’adozione in casi particolari (art. 44, comma 1, lettera d), della l. n. 184 del 1983) al fine di costituire un legame tra il minore e il genitore di intenzione. La relazione della Commissione, rinviando unicamente al dettato della pronuncia n. 79 del 2022 della Corte costituzionale, che formula una valutazione di adeguatezza rispetto allo strumento dell’adozione in casi particolari, omette tuttavia di ricostruire il complessivo orientamento dei tale Corte, ricavabile anche dalla precedente pronuncia n. 32 del 2021, laddove formulava un monito al legislatore, riconoscendo l’esistenza di un vuoto di tutela del preminente interesse del minore non colmabile in misura soddisfacente attraverso l’adozione in casi particolari.
La Commissione, inoltre, non ritiene sufficiente le modalità con cui nella proposta di regolamento è consentita l’invocazione della clausola dell’ordine pubblico al fine di rifiutare il riconoscimento di un documento proveniente da altro Stato membro, accertante il rapporto di filiazione. In particolare, sono riconosciuti quali elementi sintomatici di un “depotenziamento” di tale clausola gli artt. 22, 31 e 39 della proposta di regolamento (che si riferiscono a casi di manifesta contrarietà all’ordine pubblico scaturenti da un insanabile contrasto con il principio di non discriminazione di cui all’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea) e, soprattutto, la previsione di cui al considerando n. 14, che individua una ipotesi tipica di non invocabilità di ragioni di public policy nel rifiuto di riconoscere un rapporto di filiazione tra un figlio e i genitori dello stesso sesso, ai fini dell’esercizio dei diritti conferiti al figlio dal diritto dell’Unione (a Membrer State’s public policy cannot serve as justification to refuse to recognize a parent-child relationship between children and their same-sex parents for the purposes of exercising the rights that a child derives from Union law).
Per quanto riguarda il certificato europeo di filiazione, la Commissione rileva nei termini di una “incongruenza interna al testo normativo” il fatto che esso, ai sensi dell’art. 53 della proposta di regolamento, produca effetti negli Stati membri “without any special procedure being required”, e dunque – a giudizio della Commissione – senza che vi sia per lo Stato la possibilità di invocare la clausola dell’ordine pubblico.
Appare tuttavia opportuno rilevare come l’art. 46, comma 2 della proposta di regolamento preveda il carattere non obbligatorio di tale certificato (esso è infatti facoltativo per i minori e non sostitutivo dei documenti nazionali equivalenti comprovanti la filiazione). In sostanza, i rilievi posti in luce dalla Commissione riguardano, in primo luogo, la mancata applicabilità in via generalizzata della clausola dell’ordine pubblico e, in secondo luogo, l’assenza di una previsione di strumenti alternativi (e, a giudizio – un po’ apodittico – della Commissione stessa, in grado di «assicurare una tutela alternativa ed equivalente») al riconoscimento di decisioni giudiziarie, atti pubblici o certificati europei di filiazione, quale ad esempio la disciplina dell’adozione in casi particolari.
Sotto il profilo della sussidiarietà, la Commissione esprime il rifiuto di una normativa uniforme a livello europeo relativamente al riconoscimento degli status familiari, mentre sotto il profilo della proporzionalità, essa esclude che il regolamento possa in concreto costituire uno strumento in grado di garantire la non discriminazione dei minori sulla base della cittadinanza nazionale.
La valutazione negativa da parte della Commissione sottolinea manifestamente come l’obiettivo principe dal proprio punto di vista sia quello di garantire le condizioni per una generalizzata, non automatica trascrivibilità di documenti accertanti il rapporto di filiazione, attraverso l’invocazione della clausola dell’ordine pubblico. In questo senso, la posizione assunta appare sbilanciata sulla garanzia del divieto di maternità surrogata anche in relazione a pratiche poste in essere al di fuori del territorio italiano, sostanzialmente perdendo di vista come lo strumento europeo in discussione si ponesse in linea con il principio del superiore interesse del minore, declinato nella consolidata giurisprudenza costituzionale italiana nel senso dell’esigenza di non violare il principio di eguaglianza attraverso la creazione di categorie di figli su cui possa pesare lo stigma di una precedente condotta genitoriale.
La posizione di assoluta chiusura manifestata dalla maggioranza dei componenti della Commissione rispetto alla proposta di regolamento europeo sembra non tenere in conto due aspetti rilevanti: il primo riguarda il fatto che il divieto di ricorrere alla GPA risulta condiviso dalla maggior parte degli Stati membri dell’Unione (e dunque, le ipotesi di riconoscimento di filiazione da essa derivante risulterebbero numericamente limitate); il secondo attiene al fatto che la valutazione caso per caso, in concreto, della contrarietà all’ordine pubblico di sentenze o atti esteri è un’opzione condivisa sul piano interno anche dalla Suprema Corte di Cassazione, laddove ha sottolineato come il principio del preminente interesse del minore possa ridimensionare l’attivazione della clausola dell’ordine pubblico alle sole ipotesi in cui si riscontri una lesione dei diritti fondamentali del minore (Cass. S.U. n. 38216/2022).

 

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