Il 16 febbraio 2021 la Corte d’Appello di Ploiesti (Romania) ha trasmesso un rinvio pregiudiziale (C-216/21) alla Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE), chiedendo, tra l’altro, se il principio dell’indipendenza dei giudici, sancito dall’art. 19(1) TUE e dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali, nonché nella giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, con riferimento all’art. 2 TUE, «sia pregiudicato attraverso l’istituzione di un sistema di promozione all’organo giurisdizionale superiore basato esclusivamente su una valutazione sommaria dell’attività e della condotta realizzata da una commissione composta dal presidente dell’organo giurisdizionale di controllo giudiziario e da giudici di quest’ultimo, che effettua, separatamente, oltre alla valutazione periodica dei giudici, tanto la valutazione dei giudici per la promozione, quanto il controllo giurisdizionale delle sentenze da essi pronunciate».
La domanda è stata depositata nel corso di una controversia dinanzi al tribunale rumeno, aggiungendosi ai numerosi rinvii pregiudiziali relativi all’indipendenza della magistratura in questo Stato dell’Europa orientale ricevuti dalla Corte di giustizia negli ultimi tre anni. Il 18 maggio 2021, la CGUE si è pronunciata nei primi sei casi deferiti dalle giurisdizioni rumene in relazione allo stato di diritto (cause C-83/19C-127/19C-195/19C-291/19, C-355/19C-397/19). 

Insieme ad altri aspetti fortemente e unanimemente criticati da tutti gli organismi internazionali pertinenti, la modalità di promozione dei giudici in Romania è stata modificata nel 2018, sostituendo un meccanismo precedentemente improntato al criterio della meritocrazia e organizzato dall'Istituto nazionale dei magistrati (INM). Il Gruppo di Stati contro la Corruzione (GRECO) ha espresso immediatamente forte preoccupazione per il nuovo impianto legislativo.
Nella versione originaria della legge n. 303/2004, la promozione dei giudici ai tribunali superiori (c.d. promozione effettiva) veniva effettuata mediante un concorso organizzato a livello nazionale dall’INM, consistente in prove scritte a risposta multipla a seconda della specializzazione scelta dal giudice. Mediante lo stesso tipo di concorso, si poteva accedere al grado professionale corrispondente al tribunale superiore (c.d. promozione sul posto), accesso che poteva effettuarsi altresì mediante trasferimento, deciso dal Consiglio superiore della magistratura (CSM).
Tale disciplina è stata modificata dalla legge n. 242/2018 nel senso che, per ottenere l’accesso al foro superiore (promozione effettiva), il giudice dovrà prima ottenere il grado professionale corrispondente al giudice superiore (promozione sul posto), ottenuto alle stesse condizioni della precedente disciplina ⎼ concorso organizzato a livello nazionale dall’INM ⎼ dopodiché dovrà procedere ad un nuovo concorso, organizzato a livello nazionale, consistente in una valutazione dell’attività svolta negli ultimi tre anni. Questa seconda selezione è effettuata in gran parte attraverso i funzionari che presiedono le Corti d’Appello. Ulteriori dettagli del procedimento sono stati rimessi alla disciplina elaborata nel regolamento adottato dal CSM. La nuova disciplina prevede, dunque, un primo esame scritto per giudici e procuratori volta a ottenere il rango del tribunale superiore, seguito da un’ulteriore procedura di selezione per la promozione effettiva. Pertanto, se con la promozione sul posto un giudice acquisisce il grado professionale del tribunale gerarchicamente superiore, egli non potrà effettivamente operare nel tribunale corrispondente al grado ottenuto finché non supererà la valutazione dei funzionari dei tribunali d’appello.

La necessità di questo cambiamento non è stata giustificata da uno studio d’impatto né da un dibattito in seno al potere giudiziario, comportando un repentino ritorno alla procedura per cui i “superiori gerarchici” fissavano punteggi, procedura antecedente all’ingresso della Romania nell’Unione europea.
Vi sono timori concreti che l’instaurazione di questa modalità di promozione, che si avvale di una valutazione soggettiva delle attività e dei comportamenti dei candidati negli ultimi tre anni, svolta da comitati di valutazione proposti dai presidenti dei tribunali a cui si chiede una promozione ⎼ attraverso la consultazione dei giudici dei tribunali superiori, l’analisi dei documenti prodotti dai candidati e le interviste svolte ⎼ possa determinare l’emergere di un “giudizio sui giudici” da parte degli stessi magistrati.
Di fatto, il legislatore rumeno ha introdotto una procedura parallela di valutazione dei giudici: la valutazione periodica e la valutazione per un’efficace promozione al tribunale superiore. In entrambi i procedimenti, il presidente del tribunale d’appello svolge un ruolo decisivo. Egli fa parte sia del comitato di valutazione della promozione, sia della commissione di valutazione di tutti i giudici del tribunale d’appello, cumulando così un ampio potere decisionale per quanto riguarda la valutazione dei giudici del tribunale d’appello e per la nomina dei giudici che saranno effettivamente promossi.
Per la costituzione della commissione giudicatrice di merito non sono stabiliti criteri: il presidente della Corte d’Appello dirige la commissione e i membri della commissione sono nominati dal collegio direttivo della Corte d’Appello, presieduta dallo stesso presidente, senza alcun criterio di designazione. Pertanto, il coinvolgimento dei colleghi nella valutazione dei candidati rischia di essere solo formale, non necessaria, con l’unico effetto di creare un organismo professionale obbediente.
La Commissione di Venezia è stata invitata in numerose occasioni a decidere se le procedure di promozione dei giudici che comportano la valutazione del loro lavoro e del loro comportamento rispettino il principio di indipendenza. Dai suoi pareri si possono trarre una serie di principi: 1) se la promozione del giudice è effettuata a seguito della valutazione dell’attività, i criteri di valutazione non devono pregiudicare la sua indipendenza (CDL-AD(2011)012, §55); 2) una valutazione senza criteri chiari e prevedibili stabiliti dalla legge può costituire uno strumento di subordinazione e di influenza dei giudici (CDL-AD(2013)015, §68); 3) il coinvolgimento dei colleghi nella valutazione è problematico in quanto altera le relazioni tra pari e la moralità professionale e promuove il nepotismo (CDL-AD(2014)007, §69); 4) il presidente della Corte non dovrebbe essere la figura centrale della procedura di valutazione, in quanto può incidere sull’indipendenza dei giudici (CDL-AD(2013)015, §66); 5) la concentrazione delle funzioni e delle competenze nelle mani di un piccolo gruppo di persone dovrebbe essere evitata; quando i presidenti dei tribunali hanno un ruolo nella raccolta di dati e nella valutazione del lavoro del tribunale e dei suoi giudici, devono essere previste garanzie adeguate di imparzialità e obiettività. (CCJE, Opinione n. 19 (2016), §§ 6).

Altri sistemi giuridici sarebbero più reattivi dinanzi al modello istituito dalla riforma del 2018, probabilmente perché conservano una certa memoria storica di ciò che può accadere quando le norme aprono troppi spiragli all’esercizio della discrezionalità in ambito giudiziario. Lo stesso vale per le preoccupazioni relative alla dimensione interna dell’indipendenza e dell’imparzialità dei giudici. Sarebbe sbagliato rimanere legati a categorie che appartengono ai tempi passati, categorie secondo cui le minacce all’indipendenza dei giudici possono derivare solamente dagli altri poteri dello Stato. Ci sono, infatti, una varietà di cose estremamente problematiche che i giudici, in particolare i giudici di alto livello, possono fare ad altri giudici. Ad esempio, Kosař suggerisce che alcune forme di autogoverno giudiziario creano “un sistema di giudici dipendenti nell’ambito di un potere giudiziario indipendente”, con un’indebita influenza esercitata da funzionari giudiziari, quali presidenti di tribunale o funzionari di autogoverno giudiziario, nell’ambito del sistema giudiziario. L’autogoverno della magistratura può comportare un uso improprio dei procedimenti disciplinari e di altri meccanismi di responsabilità o una distorsione del sistema di selezione del sistema giudiziario basato sulla meritocrazia.
Pare proprio che le modifiche legislative sulla carriera dei giudici diano luogo a un corpo di magistrati direttamente dipendente dai presidenti delle 15 corti d’appello in Romania e, indirettamente, dalla sezione dei giudici del Consiglio superiore della magistratura, che, in pratica, decide a chi assegnare le funzioni direttive delle corti d’Appello.