L’ordinanza di rinvio pregiudiziale n. 19598/2020 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ha dato luogo ad un acceso dibattito. La questione ha ad oggetto il diritto ad una tutela effettiva nell’ambito dei settori disciplinati dal diritto dell’Unione ed è stata definita dalla sentenza del 21 dicembre 2021 della Corte di giustizia (causa C-497/20, Randstad Italia). Tale decisione consente di superare le preoccupazioni emerse riguardo ai potenziali effetti sistemici della vicenda. 

Il caso trae origine da un ricorso avverso l’aggiudicazione in una gara d’appalto, presentato da un partecipante escluso per mancato superamento della soglia prevista nella valutazione dell’offerta tecnica. Respinto nel merito dal T.A.R. Valle d’Aosta, il ricorso veniva successivamente dichiarato inammissibile dal Consiglio di Stato con sentenza del 7 agosto 2019: non avendo dimostrato l’illegittimità dell’aggiudicazione, il ricorrente sarebbe stato portatore di un interesse di mero fatto, analogo a quello degli operatori economici che non abbiano partecipato alla gara. La Corte di Cassazione, tuttavia, riteneva tale lettura incompatibile con i principi enunciati dalla Corte di giustizia in relazione alla direttiva 89/665/CEE sulle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici.
Ebbene: secondo un orientamento invalso per diversi anni presso la Cassazione, in caso di ritenuta violazione del diritto sovranazionale ad opera del Consiglio di Stato, sarebbe possibile il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111, c. 8, Cost. Ciò in quanto tra i motivi inerenti alla giurisdizione rientrerebbero anche gli errori in iudicando o in procedendo che abbiano l’effetto di negare alla parte l’accesso alle tutele giurisdizionali previste dall’ordinamento. Si tratta di un’interpretazione evolutiva dell’art. 111 Cost. nettamente respinta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 6/2018 in quanto incompatibile con la lettera e lo spirito della norma, espressione della scelta dei Costituenti a favore di un assetto pluralistico delle giurisdizioni.
Così, con l’ordinanza n. 19598/2020, la Cassazione ha presentato tre diversi quesiti alla Corte di giustizia, chiedendo: i) se l’orientamento giurisprudenziale avallato dalla sentenza n. 6/2018 della Corte costituzionale, che nega la possibilità di ricorso per cassazione avverso sentenze del Consiglio di Stato pronunciate in violazione con il diritto europeo, sia compatibile con il diritto ad una tutela effettiva in materia di appalti; ii) se l’orientamento giurisprudenziale secondo cui non si possa ricorrere per cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione avverso sentenze del Consiglio di Stato pronunciate senza esperire rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE sia compatibile con il diritto ad una tutela effettiva; iii) se l’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’impresa esclusa da una gara d’appalto non possa proporre censure volte a contestare l’aggiudicazione, in quanto portatrice di un interesse di mero fatto, sia compatibile con i principi espressi dalla giurisprudenza europea in materia di tutela giurisdizionale nell’ambito delle procedure di appalto.

Nell’esame del primo quesito, la Corte di giustizia muove dal primato del diritto europeo sulle norme interne – anche quelle di rango costituzionale – ricordando come tale principio obblighi gli Stati membri ad assicurare una tutela giurisdizionale effettiva per garantire ai singoli i diritti derivanti dal diritto dell’Unione; le modalità per assicurare detta tutela, come noto, sono rimesse alle scelte di ciascuno Stato membro secondo il principio di autonomia procedurale, nel rispetto dei principi di equivalenza e di effettività.
Nel caso oggetto del rinvio pregiudiziale, nessuno dei due principi risulta violato. Anzitutto, il c. 8 dell’art. 111 della Costituzione prevede che si possa ricorrere per cassazione avverso sentenze del Consiglio di Stato per motivi inerenti alla giurisdizione indipendentemente dal fatto che le censure si fondino su disposizioni nazionali o sovranazionali, rispettando così il principio di equivalenza. In secondo luogo, il diritto europeo non richiede affatto di modificare l’assetto dei mezzi di impugnazione contemplati dal diritto interno, purché sia garantito, secondo il principio di effettività, il diritto ad un ricorso effettivo dinanzi ad un giudice indipendente ed imparziale: condizione, questa, pienamente rispettata dal diritto italiano. Non solo: l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali richiede la garanzia di un ricorso dinanzi ad un giudice, non già un doppio grado di giudizio. Sicché, non costituisce una compressione del diritto alla tutela giurisdizionale la previsione di limiti ai ricorsi per cassazione avverso sentenze del Consiglio di Stato quale giudice di appello.
Ciò nonostante, la Corte di giustizia evidenzia che l’orientamento del Consiglio di Stato che nega l’ammissibilità del ricorso del partecipante escluso si pone, effettivamente, in contrasto con l’art. 2-bis, paragrafo 2, della direttiva 89/665/CEE. Tuttavia, la soluzione per rimediare a tale violazione non è rappresentata da un ulteriore grado di giudizio, bensì da un eventuale ricorso per inadempimento ovvero da un’azione di responsabilità nei confronti dello Stato italiano per il risarcimento del danno.
Per il resto, la Corte dichiara il secondo quesito non pertinente rispetto all’oggetto del procedimento principale, atteso che l’immotivata omissione del rinvio pregiudiziale non figurava tra i motivi di ricorso per cassazione formulati dal ricorrente; il terzo quesito non riceve risposta in ragione delle argomentazioni formulate in relazione alla prima questione.

Accogliere la lettura della Cassazione avrebbe posto due ordini di problemi, ben evidenziati dall’A.G. Hogan nelle conclusioni presentate il 9 settembre 2021. In primo luogo, cosa sarebbe accaduto se anche la Cassazione avesse confermato un orientamento del Consiglio di Stato contrario al diritto dell’Unione? Estremizzando l’iter argomentativo sotteso all’ordinanza di rinvio, infatti, si sarebbe giunti alla conclusione che il diritto europeo esiga un ulteriore grado di giudizio. Il secondo problema avrebbe riguardato le tempistiche dei procedimenti giurisdizionali: se, da un lato, va assicurata una tutela effettiva ai partecipanti ad una gara d’appalto avverso l’aggiudicazione, dall’altro, va tenuta in considerazione l’esigenza di una trattazione celere dei ricorsi.

La Corte di giustizia ha correttamente individuato il punto centrale della questione: il diritto europeo non è lo strumento di risoluzione della questione relativa alla sindacabilità delle sentenze del giudice amministrativo da parte della Suprema Corte. L’ordinamento italiano, lungi dal violare il diritto ad una tutela effettiva nonostante le criticità dell’orientamento del Consiglio di Stato, presenta un sistema giurisdizionale che, allo stato attuale, non può essere superato per via interpretativa ricorrendo al giudice europeo.
La vicenda costituisce altresì un’occasione per riflettere sui potenziali effetti del rinvio pregiudiziale: questo rappresenta il più prezioso e costruttivo strumento di integrazione europea attraverso il diritto, vale dunque la pena interrogarsi circa l’opportunità di sfruttarlo per superare l’interpretazione di disposizioni costituzionali fornita dal giudice delle leggi e risolvere questioni tanto delicate come quella relativa ai rapporti tra giurisdizioni nazionali. Non è cosa ardua immaginare quali tensioni sarebbero sorte se la Corte di giustizia avesse aderito alle argomentazioni della Cassazione, pronunciandosi nel senso di una incompatibilità delle disposizioni costituzionali con il diritto europeo. Per questo, la soluzione raggiuntadai giudici di Lussemburgo è da guardare con estremo favore.