Tra il 23 e il 25 marzo 2021 si è tenuto il nono meeting del gruppo di negoziatori c.d. “47+1” per l’adesione dell’Unione europea alla CEDU, in cui la discussione circa le questioni sollevate dalla Corte di giustizia nel parere 2/13 è proseguita, nonostante le difficoltà tecniche, nonché quelle logistiche legate alla pandemia (i meeting si sono infatti tenuti in videoconferenza). Il delicato compito affidato ai negoziatori è principalmente quello di superare le censure mosse dalla Corte di giustizia al progetto di accordo di adesione nel parere 2/13 per arrivare ad una nuova bozza che possa essere approvata da entrambe le parti e (eventualmente, in futuro) dalla stessa Corte. Il percorso compiuto in questo nuovo round di negoziati mostra la difficoltà nel costruire delle soluzioni tecnicamente complesse per contemperare la salvaguardia dell’autonomia dell’ordinamento dell’Unione con l’esigenza di non alterare il funzionamento del sistema CEDU.
Come è noto, il parere 2/13 della Corte di giustizia ha interrotto bruscamente il processo di adesione dell’Unione europea alla CEDU. Ciononostante, le discussioni e i lavori nell’ambito dell’Unione europea non si sono fermati del tutto. Nel 2016 si è tenuta un’audizione presso la Commissione Affari Costituzionali del Parlamento europeo, durante la quale alcuni dei massimi esperti del progetto di adesione sono stati chiamati ad esprimere un parere sugli strumenti da mettere in campo per superare il rigetto della Corte. Successivamente, l’allora presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, in occasione di una visita all’Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, ha ribadito l’importanza del partenariato tra le due realtà giuridiche sovranazionali, qualificando l’adesione dell’Unione europea alla CEDU “a political priority for the Commission”.
Durante il Consiglio Giustizia e affari interni del 7-8 ottobre 2019, nella medesima sessione in cui sono stati celebrati i dieci anni di vigenza della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, i ministri degli Stati membri hanno ribadito il proprio impegno ad aderire alla CEDU. Nel corso di quel meeting, il Consiglio ha adottato delle direttive supplementari per consentire alla Commissione di riprendere i negoziati. Con lettera del 31 ottobre 2019, la Commissione ha quindi informato il Consiglio d’Europa della propria volontà di ricominciare il negoziato. Nel novembre 2019, lo Steering Committee for Human Rights (CDDH) ha posto le basi per i lavori del Gruppo di negoziazione ad hoc, il c.d. Gruppo “47+1”, composto dai rappresentanti dei 47 Stati membri del Consiglio d’Europa e da un rappresentante dell’Unione europea (ovvero la medesima formazione del round di negoziazioni avviato il 13 giugno 2012 e che aveva portato all’Accordo del 2013). Nel marzo 2020, l’Unione europea ha pubblicato un paper per esprimere la propria posizione in vista del primo meeting che avrebbe dovuto tenersi nel medesimo mese e che poi è stato posticipato a causa della pandemia. Un incontro informale si è poi tenuto tra le parti il 22 giugno 2020. Nell’agosto 2020, la presidenza (affidata alla norvegese Tonje Meinich che aveva già guidato i negoziati nel 2012) ha - a sua volta - pubblicato un paper per strutturare la negoziazione concentrando gli sforzi sulle questioni più cruciali.
Dal 29 al 1° ottobre 2020, il processo di negoziazione è ufficialmente ricominciato, con un primo meeting del gruppo 47+1 (questo meeting è stato indicato come il “sesto” nel relativo report, riprendendo la numerazione da dove si era interrotta nel 2013, ovvero con il quinto meeting). Il secondo (o settimo) si è tenuto il 24 -26 novembre 2020, il terzo (o ottavo) tra l’1 e il 2 febbraio 2021. L’ultimo incontro si è tenuto il 23 - 25 marzo 2021 (l’agenda e i report dei meeting sono pubblicati nell’apposita sezione del sito del Consiglio d’Europa).
Le questioni oggetto di negoziazione sono piuttosto complesse per le implicazioni tecniche (ma anche politiche) ad esse sottese ed il compito rimesso ai negoziatori è quanto mai arduo. In apertura, il paper della presidenza richiamava i principi per la negoziazione, ripresi dalla Relazione illustrativa del progetto di accordo del 2013, tra i quali bisogna ricordare l’adesione dell’Unione “on an equal footing” rispetto alle altre Parti contraenti, il rispetto del riparto di competenza tra l’Unione e gli Stati membri e nonché tra le stesse istituzioni e la conservazione del sistema CEDU (par. 13). Lo stesso paper chiarisce che il focus dei negoziati è concentrato sulle questioni sollevate dal parere 2/13, raccolti in quattro “basket”: 1) i meccanismi specifici per l’Unione europea nell’ambito della procedura presso la Corte EDU; 2) il funzionamento del ricorso interstatale (art. 33 CEDU) e della richiesta di parere consultivo (Protocollo 16) per gli Stati membri dell’Unione europea; 3) il principio di fiducia reciproca tra Stati membri dell’Unione europea; 4) gli atti dell’Unione europeo nell’area della Politica Estera e di Sicurezza Comune.
Ciascuna di tali questioni comporta la costruzione di complesse architetture giurisdizionali o l’adozione di rimedi specifici: con riferimento al Protocollo 16, il quale consente alle più alte giurisdizioni degli Stati membri di richiedere un parere consultivo, non vincolante, alla Corte EDU circa l’interpretazione della CEDU nell’ambito di un giudizio pendente, ad esempio, la Corte di giustizia ha imposto di trovare una soluzione per evitare che tale meccanismo si traducesse in un pregiudizio del rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE da parte dei giudici degli Stati membri. La soluzione oggetto di dibattito nei negoziati prevede la possibilità di sospendere (su richiesta dell’Unione) il procedimento ex Protocollo 16 attivato dalla richiesta di un giudice nazionale e pendente avanti alla Corte EDU, avente ad oggetto l’interpretazione della CEDU in ambito di rilevanza comunitaria, al fine di consentire all’Unione (allo stato, non è chiaro se si tratti della Corte o della Commissione) di verificare se detta richiesta nazionale comporti una violazione dell’art. 267 TFUE e dunque sia censurabile in quanto infrazione ex art. 260 TFUE. E’ É di tutta evidenza come tale soluzione contrasti con il principio di adesione on an equal footing dell’Unione e sia suscettibile di incidere negativamente sul funzionamento del Protocollo 16, peraltro costruendo complessi meccanismi giurisdizionale che non possono che finire per incidere sulla tutela dei diritti fondamentali (sul punto, che non è possibile approfondire in questa sede, si consenta un rinvio a I. Anrò, B. Nascimbene, The devil is in the details: does the end of Protocol n° 16 to the ECHR lie in the wrinkles of the EU accession to the ECHR process?).
Dai report delle riunioni emerge con chiarezza la sfida posta ai negoziatori, di fronte al difficile compito di preservare l’autonomia dell’ordinamento dell’Unione europea, garantendo al tempo stesso il funzionamento del sistema della Convenzione. Il prossimo meeting è previsto per il 29 giugno – 2 luglio 2021: in tale occasione dovrebbero essere altresì consultati i rappresentanti della società civile e delle istituzioni nazionali di tutela dei diritti fondamentali. Le date dei successivi incontri sono state fissate – indicativamente – al 5-8 Ottobre 2021 e al 7-10 dicembre 2021.
La strada dei negoziati pare, dunque, ancora lunga. Occorre, inoltre tenere presente che la nuova bozza di accordo (ove venga raggiunto il consenso dei negoziatori) potrebbe essere nuovamente sottoposta al vaglio della Corte di giustizia ai sensi dell’art. 218, c. 11, TFUE: tale prospettiva rappresenta indubbiamente un monito e al tempo stesso un ulteriore fonte di incertezza per i negoziatori, quanto al futuro dell’adesione.