I valori dell’Unione europea richiedono che l’Ucraina faccia parte della famiglia europea. I fallimenti jugoslavi, che gettano ancora oggi un’ombra sulla missione di pace dell’Unione in Europa, non possono essere ripetuti.
La guerra innescata da Putin in Ucraina ha ricordato all’Ue la sua raison d’être: domandarsi a cosa serva l’Unione europea, ora, è ancora più urgente che nel 1989 con la caduta del muro di Berlino. La portata di questa tragedia, infatti, ha aggiunto chiarezza e ha aperto il varco a una maggiore mobilitazione. Zelensky, che oggi rappresenta senza dubbio il leader morale del mondo democratico, ha colto a pieno l’importanza di questo momento e la richiesta di adesione dell’Ucraina ricorda a tutti gli europei il motivo fondante dell’Unione e i valori che si era impegnata a promuovere e coltivare. La pace in Europea è sempre stata, sin dal primo giorno del suo processo di integrazione, alla base di come l’Unione stessa si è concepita. Tale obiettivo - ragione d’essere dell’Unione - viene prima di tutto. L’Unione economica, le quattro libertà e tutto l’acquis communautaire non sono altro che gli strumenti necessari affinché quell’obiettivo venga raggiunto.
La storia dell’espansione dell’Ue ci insegna che l’adesione è un processo arduo e lungo, e che le fasi preparatorie all’adesione non hanno fatto altro che allungarsi. Nonostante la richiesta per un’adesione immediata espressa da Zelensky sia stata definita irrealistica, il processo di adesione dell’Ucraina è già iniziato: l’Ucraina può e dovrebbe essere ammessa non appena la guerra sarà finita.
L’adesione dell’Ucraina è infatti realistica tanto quanto lo sono la distruzione delle città ucraine, la strage di civili in corso e i fiumi di rifugiati che stanno abbandonando il paese. Queste realtà non rientrano nel business as usual a cui sono abituati l’Unione e i suoi Stati membri e per questo motivo richiedono un cambio di passo e di mentalità. Non può passare inosservato, poi, che ciò che chiede Zelensky sia perfettamente compatibile con il diritto dell’Unione e con l’articolo 49 TUE, la base giuridica del procedimento di adesione. L’articolo 49 identifica chiaramente le condizioni di ammissibilità, che l’Ucraina rispetta senza alcuna difficoltà: è indubbiamente uno stato europeo (e un membro del Consiglio d’Europa) impegnato a promuovere i valori di cui all’articolo 2 TUE, inclusi la democrazia, lo stato di diritto e la protezione dei diritti umani; oggi sta pagando con il proprio sangue proprio l’impegno per la promozione e la tutela di questi valori. Le modalità esatte di adesione sono invece un’altra storia. Mentre i Trattati menzionano i negoziati tra stati e prendono in considerazione la posizione del Consiglio UE, la prassi si è sviluppata in maniera alquanto diversa, a tratti maldestramente, rinvenendo nella Commissione l’attore principale della procedura. La Commissione, infatti, ha elaborato una serie di principi e metodi che non trovano alcuna base nelle fonti primarie, generando così una quantità importante di documentazione, mal redatta, sulle condizioni di maturità del paese candidato. Nonostante gli ultimi deboli tentativi, il sistema impartito dalla Commissione non ha rappresentato un baluardo ai valori dell’Unione, testimoniando addirittura il processo di graduale regressione dello stato di diritto in alcuni Stati membri (vedi Ruggeri e Kazai per il Blog). In altre parole, l’approccio basato sulla manifesta mancanza di fiducia tra l’Unione e gli Stati candidati, comprovata dalle richieste estenuanti avanzate nella fase di pre-adesione e seguite da lunghi periodi di transizione, ha dimostrato tutta la sua incapacità a prevenire derive autocratiche e attacchi ai valori Ue nella fase successiva all’adesione.
Di fronte al fallimento dell’approccio sviluppato dalla Commissione, così insistente sulla fase pre-adesione, la Corte di giustizia e altre istituzioni si sono apprestate a rimediare certe lacune. Ciò ha reso possibile confermare alcune tesi, sostenute in tempi non sospetti, per cui un controllo più rigido nella fase post-adesione potrebbe funzionare bene, se non addirittura meglio, dell’approccio attualmente utilizzato. In altre parole, anziché negoziare con l’Ucraina mentre questa viene ricostruita e monitorare/attuare i cambiamenti normativi necessari per realizzare l’acquis e il rispetto dei valori formali (così come è avvenuto con Polonia, Ungheria, Romania, Croazia e per tutte le altre recenti adesioni), il nuovo e diverso approccio potrebbe assicurare il pieno impegno in materia di principi. Si avrebbe, in un primo momento, la piena accettazione dell’acquis, con un’enfasi sul recepimento dei valori dell’Unione come cuore pulsante del proprio ordinamento, insieme alla promessa di creare la capacità istituzionale per la sua realizzazione, seguita, poi, dall’adesione immediata e da periodi di transizione più lunghi, a seconda dei campi, per permettere la realizzazione dell’acquis. Questo, d’altra parte, era stato l’approccio adottato nella prima fase di espansione dell’Unione. L’articolo 49 TUE permette entrambi gli approcci (vedi approfondimento). Il mancato adempimento degli obiettivi entro i termini di transizione accordati dovrebbe invece provocare l’attivazione della clausola di sospensione, seguita da sanzioni che dovrebbero essere esplicitate in modo chiaro e che formerebbero parte del trattato di adesione.
Sebbene l’inerzia e la ridotta capacità di auto-critica spingano la Commissione verso l’approccio attualmente seguito, le lacune e le mancanze conseguenti rendono imminente la necessità di riflettere in maniera seria sul secondo approccio, adeguato, oltretutto, ad affrontare lo speciale caso rappresentato dall’Ucraina. Proprio la specialità del caso ucraino consente di respingere le obiezioni secondo cui stia “saltando la fila”, superando tutti gli altri paesi candidati. E le situazioni speciali richiedono trattamenti speciali: non a caso, i cittadini ucraini godono attualmente di un trattamento privilegiato ai sensi della direttiva sulla protezione temporanea (vedi Scissa per il Blog). La responsabilità dell’Unione europea nel mantenere la pace in Europa, così come la promozione dei valori su cui essa stessa basa la sua unità, non si devono fermare dinanzi alla richiesta di accoglienza espressa dall’Ucraina, così come non si sono fermate davanti al popolo ucraino richiedente protezione.
È chiaro che l’Ucraina avrà bisogno di un piano Marshall di portata significativa e che garantisca una celere ricostruzione. Anche in questo caso non si può rimanere inerti, adottando l’approccio business as usual. Una volta ammessa l’Ucraina, l’Unione dovrà prendere parte alla sua ricostruzione, la quale, insieme a un afflusso di capitale che non avrà precedenti, coinciderà con il periodo di transizione post-adesione nel corso del quale l’Ucraina si adeguerà al diritto dell’Unione.
Il caso speciale dell’Ucraina deve spingere l’Ue a riflettere su come riformare il suo impianto normativo in materia di espansione e di adesioni, ad oggi fallimentare. La prassi si è infatti dimostrata suscettibile di manipolazioni politiche, del tutto slegate dallo stato concreto del paese candidato e dal suo progresso verso la reale incorporazione dei valori sanciti nell’articolo 2 TUE e dal resto dell’acquis. Così come ha dimostrato la sua incapacità a prevenire che Stati membri come la Polonia e l’Ungheria dichiarassero apertamente guerra ai valori dell’Unione, valori per cui, invece, i soldati e i civili ucraini stanno dando la vita.
(traduzione curata da Micol Pignataro, Università di Bologna)
*Il post riproduce alcune riflessioni pubblicate dall’Autore su Verfassungsblog
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