L’invasione dell’Ucraina e le sue conseguenze sono il culmine della guerra decisa dalla Russia nel 2014 con lo smembramento e la conquista del territorio di uno Stato sovrano associato all’Unione europea (il tema è stato affrontato anche qui). Oggi la guerra in Europa non è più un rischio ma un fatto, giacché la guerra russo-ucraina, in atto dal 2014, ha assunto un carattere internazionale ineludibile e ormai comprensibile a chiunque. Questo quadro bellico, col suo corredo di morte e violenza, è il nodo cruciale dell’attuale fase critica. Concerne non solo l’integrità territoriale dell’Ucraina e la sua connessa qualità di Stato sovrano, entrambe già ampiamente colpite da forze esterne e interne che continuano a incombere, bensì la più ampia architettura della sicurezza europea. Questo quadro non comprende solo azioni di guerra ma include minacce volte ad inasprirla – inclusa la minaccia atomica – o, al contrario, promesse dirette ad alleviarla, volgendo verso qualche arrangiamento negoziale effettivo che produca prospettive di accordo politico.
Da questo punto di vista la Russia sta sfruttando l’esercizio unilaterale della forza – compresa la potenza atomica – per affermare una sfera d’influenza che ormai da tempo non possiede più. Essa cerca di imporre all’Ucraina una sovranità limitata e ciò è tipico delle potenze che trattano gli Stati minori considerati nella propria sfera d’influenza come membri di seconda classe della società internazionale. Questo tipo di relazioni internazionali sono improntate al dominio, cioè si caratterizzano per l’uso della forza da parte della potenza maggiore e per il rifiuto delle norme di condotta internazionale che assegnano uguali diritti di sovranità, uguaglianza e indipendenza a tutti gli Stati.
Tutte le azioni militari della Russia contro l’Ucraina a partire dal 2014, inclusa l’annessione della Crimea e l’appoggio militare nella regione del Donbass, hanno violato i principi base del diritto internazionale e dell’architettura di sicurezza comune europea. Ciò ha portato gli Stati dell’Unione Europea a introdurre sanzioni contro la Federazione Russa e, dopo l’invasione dell’Ucraina, ad una mobilitazione senza precedenti per l’Unione stessa. Basti pensare che per la prima volta nella storia l’Unione Europea finanzierà l’acquisto e la consegna di armamenti per combattere le forze armate d’invasione. Il che risulta comprensibile se si considera che la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha giudicato gli eventi attuali «un momento spartiacque». Tale percezione riguarda non solo l’Unione e i suoi Stati membri ma gli Stati europei tout court.
La guerra in Ucraina e l’annessione della Crimea non hanno dunque condotto al riconoscimento della sfera d’influenza russa, stabilendo regole di condotta operative condivise. Al contrario, la guerra che ne è scaturita ha danneggiato la Russia e la sua collocazione in Europa, fiaccata dalla necessità di ricorrere alla forza per affermare una sfera d’influenza rivendicata senza successo. La reazione dell’Unione Europea è tuttavia un esito comprensibile perché, almeno tra gli Stati membri, il dominio ha cessato da tempo di rappresentare una modalità legittima dell’esercizio della potenza nelle relazioni internazionali.
Se le conseguenze dell’invasione in corso mettono a repentaglio l’intera architettura di sicurezza comune europea, ci si domanda come sia possibile che in questo contesto le rivendicazioni della Federazione Russa volte ad ottenere specifiche e particolari garanzie di sicurezza, reali o strumentali che siano, possano essere accolte dagli altri Stati. D’altra parte la stessa richiesta russa sull’espansione dell’Alleanza atlantica – lasciata insoddisfatta e perciò dichiarata da parte russa come una delle cause dell’invasione – risulta indecifrabile perché sembra affermata come se davvero si credesse che qualsiasi eventuale garanzia formale ottenuta oggi nelle relazioni internazionali potesse valere anche domani, il che ovviamente non è. Basti pensare, ad esempio, che le garanzie formali di sicurezza formulate dalla Russia stessa nel 1994 verso l’Ucraina – cioè, tra l’altro, «il rispetto dell’indipendenza, della sovranità e dei confini esistenti dell’Ucraina» (cosiddetto Memorandum di Budapest, 5 dicembre 1994, punto 3) – sono state puntualmente violate e la loro violazione riguarda direttamente la guerra in corso.
Di questa guerra rileva ricordare ancora una volta una concomitanza storica significativa ma spesso trascurata: la guerra d’Ucraina e la subitanea annessione della Crimea da parte della Federazione Russa sono iniziate quando l’Ucraina ha sancito il proprio percorso nell’Unione Europea firmando un accordo politico di associazione con l’Unione stessa nel 2014 (antefatto approfondito anche qui). Unione Europea e Alleanza atlantica hanno 21 Stati membri in comune e 3 in procinto di esserlo. Detto questo, merita maggiore attenzione il fatto che nel 2014 si sancì non solo il tentativo dell’uscita dell’Ucraina dalla sfera d’influenza russa, ma un vero e proprio ripudio politico che investì d’emblée il legame storico tra Russia e Ucraina. Il punto è che quella scelta diplomatica da parte ucraina poggiava sul massimo strumento di politica estera dell’Unione Europea, cioè l’allargamento. Questo strumento di politica estera europea portava a sancire non solo l’uscita dalla sfera d’influenza russa ma l’allontanamento dalla Russia in sé e per sé. Capire la guerra in Ucraina e pensarne la soluzione necessita oggi considerazioni sostanziali che ne riguardano le origini e, di conseguenza, l’attualità. Occorre riflettere sulla rilevanza delle sfere d’influenza nelle relazioni internazionali e il problema politico della loro definizione che ha investito, per la prima volta, l’Unione Europea. Detto altrimenti, per la prima volta nella storia dell’Unione Europea il tentativo di allargarne il perimetro è diventato un elemento di conflitto in Europa e concausa di una guerra – piaccia o non piaccia. La spinta all’allargamento dell’Unione nei confronti dell’Ucraina ha sostanzialmente contribuito ad alterare l’equilibrio in Europa, diventando, negli esiti considerati a Mosca, l’equivalente d’una politica d’espansione e quindi una minaccia alla sicurezza. La sconfitta per la diplomazia europea sarebbe perdere contatto con questa realtà, travolta dagli eventi bellici che hanno orami investito l’Unione stessa.
Lontano dalla violenza attuale sarà lo spirito di un nuovo trattato di Helsinki che dovrà tornare ad attraversare l’Europa, prima o poi. Se ciò accadrà, e l’Unione resisterà alla sfida che sta fronteggiando, allora quello spirito europeo dovrà essere rinnovato dalla comprensione del fatto che, a prescindere dalla propria auto-percezione, l’Unione Europea è un vero e proprio soggetto politico, se è vero che essa è stata considerata una forza ostile e persino nemica.