Il 27 ottobre 2021, la Vicepresidenza della Corte di Giustizia ha pronunciato l’ordinanza relativa alla causa C-204/21 R, con la quale ha condannato la Polonia al pagamento di una penalità di mora di importo pari a 1.000.000 euro al giorno. La sanzione giornaliera si è resa necessaria al fine di incentivare lo Stato polacco al rispetto degli obblighi derivanti dall’ordinanza del 14 luglio 2021, con cui la Corte, nell’ambito della relativa procedura di infrazione, aveva ingiunto alla Polonia di sospendere, da un lato, l’applicazione delle disposizioni (della legge sulla Corte Suprema) concernenti la nuova Sezione disciplinare e, dall’altro lato, gli effetti delle decisioni già adottate da quest’ultima, in quanto in contrasto con il principio dell’indipendenza dei giudici. Tale principio, come chiarito dai giudici di Lussemburgo nella sentenza Land Hessen, ha una valenza tridimensionale: in primis, rientra nell’art. 2 TUE tra i valori su cui l’Unione si fonda; in secondo luogo, afferisce tanto all’art. 19 TUE, che concretizza tale valore e affida l’onere di garantire il controllo giurisdizionale anche ai giudici nazionali, quanto all’art. 47 CDFUE posto che l’indipendenza è un requisito necessario per garantire ai singoli il diritto fondamentale a un giudice indipendente e imparziale; e, da ultimo, è componente essenziale del buon funzionamento del sistema di cooperazione giudiziaria, e in particolare del meccanismo del rinvio pregiudiziale di cui all’art. 267 TFUE, in quanto quest’ultimo può essere attivato unicamente da un organo giurisdizionale che soddisfi il requisito dell’indipendenza come concepito dalla Corte di Giustizia (causa C-64/16; causa C-216/18 PPU).
Come noto, la vicenda relativa alla Camera disciplinare polacca si inserisce in un contesto politico in cui il progressivo smantellamento delle garanzie dei giudici è in corso già dal 2015, quando, a seguito delle elezioni parlamentari e presidenziali, la camera bassa del Parlamento (Sejm) ha approvato una serie di riforme atte: i) a limitare l’indipendenza del Tribunale Costituzionale e della Corte Suprema; ii) a sottoporre al controllo politico il Consiglio nazionale della magistratura, posto che la nuova disciplina prevede che sia il Sejm a sceglierne i componenti; iii) a rafforzare i poteri del Ministro della giustizia, il quale, dal 2016, svolge anche le funzioni di Procuratore generale; iv) a introdurre un sistema disciplinare dei giudici subordinato al potere politico.
Il quadro così sinteticamente rappresentato ha portato la Corte di Giustizia, in assenza di un valido strumento che sanzioni le violazioni dello Stato di diritto – posto il malfunzionamento irreparabile dell’”opzione nucleare” di cui all’art. 7 TUE – ad emettere una serie di pronunce, tanto in sede di rinvio pregiudiziale (cause riunite C-585/18, C-624/18 e C-625/18; cause riunite C-558/18 e C-563/18; causa C-824/18), quanto nell’ambito di procedure di infrazione (causa C-619/18; causa C-791/19), volte ad evidenziare che le modifiche legislative approvate minano i valori fondativi dell’Unione europea nonché i principi fondamentali delle democrazie liberali. Ciò è affermato, con maggiore incisività, nella sentenza relativa alla causa C-791/19, in cui la Corte, occupandosi del regime disciplinare dei giudici polacchi, ha sostenuto che la creazione della nuova Camera disciplinare realizzi un “attacco sistemico” all’indipendenza della magistratura e si qualifichi come una violazione del principio di non regressione, principio che i giudici di Lussemburgo avevano – non casualmente – enucleato per la prima volta nel caso Repubblika.
Invero, per contrastare la progressiva erosione della Rule of law, le istituzioni europee hanno ritenuto utile fare uso anche dello strumento del contenzioso in via cautelare, che, sebbene sia stato da sempre poco utilizzato, negli ultimi anni sta rivelando la sua potenzialità nella misura in cui si può porre come uno dei rimedi alle violazioni dello Stato di Diritto. Questo è ancora più vero considerato che la ratio dei provvedimenti di cautela, ovverosia garantire una tutela effettiva, costituisce tanto garanzia per il singolo quanto preciso obbligo degli Stati membri previsto agli artt. 19, par.1, comma 2 TUE, 47 CDFUE e 6 e 13 CEDU.
In particolare, nell’ambito delle tre procedure di infrazione aperte nei confronti della Polonia (C-619/18; C-791/19; C-204/21), la Commissione ha richiesto l’applicazione di misure cautelari atipiche necessarie al fine di proteggere i giudici nazionali dal controllo politico.
Nel primo caso (C-619/18 R), avente ad oggetto la normativa sul pensionamento anticipato dei giudici della Corte Suprema polacca, la Vicepresidente non ha concesso un provvedimento provvisorio ordinario ai sensi dell'art. 279 del TFUE, ma un provvedimento particolarmente urgente, a norma dell’articolo 160, paragrafo 7, del regolamento di procedura della Corte, con il quale ha deciso di disporre, inaudita altera parte, la sospensione della citata legge e lasospensione retroattiva degli effetti delle sentenze dal momento dell'entrata in vigore della stessa.
Anche nel secondo caso (C-791/19 R) la Vicepresidenza della Corte, su richiesta della Commissione, ha disposto – questa volta in virtù dell’art. 279 TFUE – l’immediata sospensione delle attività della Camera disciplinare della Corte suprema polacca perché priva delle garanzie di indipendenza e imparzialità. Sennonché, a seguito di questo provvedimento provvisorio, lo scenario cambia, ma non migliora: i giudici polacchi non vengono più sottoposti ai procedimenti disciplinari formali ma a procedimenti penali con conseguente revoca della loro immunità giudiziaria. Già questo avrebbe potuto essere sufficiente, come sostiene autorevole dottrina, per permettere alla Commissione di chiedere alla Corte di giustizia di imporre una penalità di mora. Diversamente la Commissione ha deciso di avviare la nuova procedura di infrazione C-204/21. E’ nell’ambito di quest’ultimo ricorso per inadempimento che la Vicepresidenza, dopo aver inutilmente adottato un’ordinanza di provvedimenti cautelari nei confronti dello Stato polacco, ha imposto il pagamento della penalità di mora di un milione di euro al giorno al fine di dissuadere la Polonia dal ritardare l’adeguamento del suo comportamento, ricordando che l’art. 279 TFUE le conferisce la competenza a prescrivere qualsiasi provvedimento provvisorio che ritenga necessario per garantire la piena efficacia della decisione definitiva (C‑441/17 R).
Inoltre, si segnala l’avvio, il 22 dicembre 2021, di un'ulteriore procedura di infrazione nei confronti della Polonia, che con le sentenze P7/20 (14 luglio 2021) e K3/21 (7 ottobre 2021) del Tribunale costituzionale polacco ha violato il principio del primato, negando l'effetto vincolante delle ordinanze di provvedimenti provvisori della Corte di giustizia emesse ai sensi dell'articolo 279 TFUE e affermando l’incompatibilità di alcune disposizione del Trattato sull’Unione – tra cui anche l’obbligo discendente dall’art. 19, par. 1, comma 2, TUE – con la Costituzione polacca nella misura in cui il primato di queste ultime non consente alla Polonia di agire come uno Stato sovrano e democratico.
Il caso polacco permette di svolgere una considerazione di sistema più generale. Preso atto del fallimento della procedura politica ex art. 7 TUE e dei limiti degli strumenti dialogici messi in campo dalla Commissione, quali il nuovo quadro per lo Stato di diritto e il meccanismo europeo per lo Stato di diritto, il ricorso al contenzioso in via cautelare, e in particolare la possibilità di applicare una penalità di mora giornaliera, può costituire insieme al nuovo regolamento sulla condizionalità – nella speranza che questo, in risposta ai ricorsi di annullamento proposti da Polonia e Ungheria (causa C-156/21; C-157/21), venga ritenuto legittimo da parte della Corte di Giustizia – gli unici e i più efficaci strumenti per salvaguardare il rispetto della Rule of Law in casi di violazioni sistemiche. In altri termini, a fronte di un sistema di rimedi migliorabile – se solo vi fosse la volontà politica di revisionare l’art. 7 TUE – ma completo, sarebbe opportuno che le risposte, in particolare, della Commissione, agli attacchi dello Stato di diritto perpetrati dagli Stati membri avvenissero attraverso questi due strumenti, perché celeri e concretamente dissuasivi.