Il risultato del primo turno delle elezioni presidenziali francesi del 10 aprile scorso non è stato di certo una sorpresa per quanto riguarda i nomi dei due finalisti: i sondaggi davano infatti ormai da tempo, come vincitori del primo turno, Emmanuel Macron (La République En Marche), che ha ottenuto uno score molto alto per un primo turno, con il 27,8% dei voti; e Marine Le Pen (Rassemblement National), che ha ottenuto il 23,1% dei voti. È stata invece una sorpresa il risultato, ben più alto delle previsioni, ottenuto da Jean-Luc Mélenchon (La France Insoumise), che con il 21,9% dei voti si è confermato l’unico leader di una sinistra molto frammentata capace di competere per il passaggio al secondo turno (e per il quale ha sicuramente giocato il cd. vote utile). Così come è stata una sorpresa la sconfitta pesante della destra gollista, rappresentata da Valérie Pécresse, che ha ottenuto soltanto il 4,7% dei voti ed il cui elettorato è in gran parte confluito verso Emmanuel Macron (anche in questo caso, complice il cd. vote utile).
Ciò che appare quindi, in prima battuta, dai risultati del primo turno, è la netta affermazione di partiti euroscettici, tendenti verso le posizioni più radicali della scacchiera politica, sia di destra (Rassemblement National di Marine Le Pen), sia di sinistra (La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon); così come lo sgretolamento (che sembra ormai irreversibile) dei partiti tradizionali di destra e di sinistra (oltre alla sconfitta di Valérie Pécresse, c’è da registrare la disfatta del partito socialista, rappresentato da Anne Hidalgo, che ha ottenuto soltanto l’1,7 % dei voti). A ciò si aggiunga l’astensionismo, che si conferma ad un tasso molto alto (25,1%), e che sembra abbia favorito soprattutto il candidato Emmanuel Macron, verso cui si dirigono i voti dei ceti medio-alti - che votano in larga parte questo candidato e che sono maggiormente inclini a recarsi alle urne - rispetto ai ceti più popolari, da cui attinge i voti soprattutto la Le Pen.
Se dunque il risultato di questa prima tornata elettorale può sembrare, per certi versi, annunciato, la guerra in Ucraina ha tuttavia avuto un impatto molto forte su diversi aspetti della campagna elettorale.
Prima di tutto, all’indomani dell’invasione, alcuni tra i candidati di spicco si sono visti costretti a giustificare le loro posizioni rispetto a Vladimir Putin, rivelando così alcune ambiguità ed incoerenze. Così, Marine Le Pen ha dovuto rivedere la propria narrativa, dichiarandosi «a equidistanza» dagli Stati Uniti e dalla Russia, e cercando così di far dimenticare come, sin dalla sua elezione nel 2011 alla testa del Front National (poi diventato Rassemblement National), si sia sempre apertamente schierata a favore della Russia di Putin. Le Pen ha cercato, ad esempio, di far dimenticare che nel suo progetto per la campagna presidenziale del 2012 si promuoveva «une alliance trilatérale Paris-Berlin-Moscou», così come il fatto che il suo partito abbia beneficiato di due prestiti per un totale di più di dieci milioni di euro provenienti dalla Russia, o ancora il fatto che durante la crisi in Crimea, nel 2014, il partito di estrema destra si fosse schierato apertamente con Mosca. Parallelamente, vista la pressione del contesto internazionale, Marine Le Pen è stata altresì costretta a rivedere le sue posizioni sui rifugiati ucraini, ora ritenuti meritevoli di tutela e di accoglienza sul territorio francese, in piena contraddizione quindi con una delle idee più importanti del programma politico e ideologico del Ressemblement National, da sempre contrario all’immigrazione e all’asilo. Nelle ultime settimane della campagna elettorale, Le Pen si è concentrata sulle tematiche legate al potere di acquisto dei francesi, spostando evidentemente l’attenzione su argomenti a cui una larga parte della popolazione risulta molto sensibile, nel tentativo, forse riuscito, di allargare la propria base elettorale.
Anche Jean-Luc Mélenchon ha dovuto giustificare la sua posizione, da sempre ambigua, rispetto alla Russia di Putin. Ad esempio, nel 2014, durante la crisi in Crimea, Mélenchon, pur dichiarando di non provare alcuna simpatia per Mosca, si era opposto alle sanzioni internazionali contro la Russia, sposando, di fatto, la versione fornita per giustificare l’invasione della Crimea, secondo cui i porti della Crimea erano vitali per la sicurezza russa e che il Cremlino si stava proteggendo da un governo «in cui i neonazisti» avevano un’influenza detestabile. Ancora, nel 2016, durante il conflitto in Siria, Jean-Luc Mélenchon si era detto non contrario ai bombardamenti russi, poiché finalizzati a colpire l’Isis. Durante la campagna di queste ultime settimane, accusato da destra e da sinistra di avere da sempre sostenuto Putin, il candidato della France Insoumise ha dovuto prendere le distanze da Mosca, dicendosi «non allineato» sia rispetto agli USA che rispetto alla Russia. Dopo aver più volte affermato, soprattutto in un primo tempo, che la condotta di Putin fosse prevedibile vista «l’agitazione» della NATO nella regione e viste le provocazioni da parte degli occidentali, Jean-Luc Mélenchon ha alla fine denunciato «i crimini di guerra» commessi dalla Russia in Ucraina, affermando che il comportamento di Vladir Putin pone un «énorme problème», dicendosi altresì favorevole alle sanzioni contro gli oligarchi russi (senza però precisarne i contorni). Si è quindi assistito ad un vero e proprio riposizionamento del candidato di sinistra, che non è forse stato senza influenza sul risultato più che positivo ottenuto al primo turno.
Infine, il candidato di estrema destra Eric Zemmour, arrivato al quarto posto con il 7% dei voti, si è mosso con molta difficoltà e diverse gaffes rispetto alla guerra in Ucraina, dimostrando una grande incoerenza in materia di strategia internazionale. Se qualche anno fa Eric Zemmour sognava l’avvento di «un Putin francese» e se ancora a poche settimane dal conflitto attuale affermava che Putin non avrebbe mai invaso l’Ucraina, pressato dal contesto ed in piena campagna elettorale, Eric Zemmour ha dovuto alla fine fare diversi passi indietro, senza tuttavia abbandonare completamente le sue idee filo-russe. Pur avendo riconosciuto di aver commesso un errore sull’invasione dell’Ucraina, e pur condannando l’aggressione russa, egli considera tuttavia che i principali responsabili della situazione sono la NATO ed i paesi che ne fanno parte, dicendosi in conclusione difensore della pace.
Al di là dell’impatto sulle posizioni di alcuni tra i principali candidati all’Eliseo, la guerra in Ucraina ha fortemente influito, durante la campagna elettorale, sull’immagine del Presidente uscente Emmanuel Macron, che ha avuto un ruolo molto attivo nel cercare una soluzione diplomatica. I rapporti internazionali infatti, e a fortiori la gestione dei conflitti e la diplomazia, appartengono per Costituzione a quel domaine réservé del Presidente della Repubblica francese nel quale egli decide in modo autonomo e può quindi occupare uno spazio privilegiato e di spicco. Questo ruolo attribuito al Presidente è stato pienamente interpretato da Emmanuel Macron, che alla vigilia del conflitto e durante il conflitto stesso ha mostrato un grande attivismo (si ricordi tra l’altro che egli è anche presidente di turno del Consiglio dell’UE). Dal punto di vista della campagna elettorale questa situazione ha portato a due conseguenze importanti: da un lato, ha permesso al Presidente-candidato di acquisire un certo status ed una legittimità "presidenziale" che si è tradotta immediatamente nei sondaggi, dove Emmanuel Macron, subito dopo lo scoppio della guerra, ha raggiunto il 30% delle intenzioni di voto; dall’altro, ha costituito la giustificazione (o l’alibi?) per il Presidente-candidato per non scendere nell’arena politica e non fare campagna elettorale, rifiutando il dibattito con i suoi avversari politici. Se si aggiunge a questi fattori il sentimento di precarietà cui ha dato origine la guerra - così come qualsiasi crisi del resto - presso la polazione francese, con il conseguente desiderio di confermare lo status quo, si colgono probabilmente alcune delle ragioni che hanno permesso a Emmanuel Macron, presidente comunque molto contestato nell’arco del mandato, di ottenere un risultato tanto alto al primo turno (addirittura superiore a quello ottenuto cinque anni fa).