EMA è attiva dal 1995. Esistenza trascorsa, se non nell’ombra, di certo non nella notorietà, come la maggior parte delle agenzie europee e, in generale, delle burocrazie specializzate. Si tratta infatti di enti esperti, indipendenti, e dotati di poteri consultivi ma in genere non decisori, che assistono la Commissione Europea nelle attività di regolazione (oltre a EMA si pensi, ad esempio, a ECHA, l’Agenzia europea per le sostanze chimiche, e a EFSA, l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare). Quelle svolte da EMA nel contesto dell’autorizzazione di prodotti farmaceutici sono valutazioni tecniche relative a qualità, sicurezza e rapporto rischi-benefici dei medicinali. Si tratta di valutazioni che raramente attraggono l’attenzione del pubblico ‘generalista’, ma che incidono su interessi pubblici primari quale il diritto alla salute e intersecano i considerevoli interessi economici del settore farmaceutico.
L’autorizzazione dei vaccini per il COVID-19 ha posto EMA tra due fuochi. Da un lato, l’esigenza di una celere immissione sul mercato dei sieri vaccinali, sviluppati in tempi eccezionalmente rapidi per fronteggiare la pandemia; dall’altro, la necessità di garantirne la sicurezza e, quindi, di assicurare il rigore e l’indipendenza delle proprie valutazioni scientifiche. L’Agenzia ha risposto a questa doppia pressione con diverse modifiche procedurali volte a snellire il proprio iter decisionale, con l’istituzione di una COVID task-force e, soprattutto, con un significativo innalzamento dei propri standard di trasparenza.
In particolare, EMA ha deciso di accelerare i tempi di pubblicazione del Public Assessment Report e di ampliare la pubblicazione proattiva di documenti relativi alle procedure di autorizzazione, quali ad esempio la versione integrale del risk management plan e i dati clinici relativi alla sperimentazione dei farmaci per la cura del COVID-19. Alla base di tale decisione, la necessità di rispondere alle accresciute esigenze di informazione e scrutinio da parte del pubblico e la volontà di contribuire alla ricerca a livello globale.
Quello compiuto da EMA è senza dubbio un balzo in avanti, e non è da escludere che rimanga eccezionale quanto la situazione da cui ha avuto origine. Non si tratta tuttavia di un primo passo, ma della prosecuzione di un percorso verso una maggiore trasparenza delle valutazioni compiute dall’Agenzia – e degli studi su cui esse si basano. A partire dalla sua instaurazione, EMA ha gradualmente sviluppato un approccio proattivo alla pubblicazione di dati, clinici e non, al fine di assicurare il più ampio accesso possibile al pubblico, nel rispetto della privacy dei pazienti e degli interessi commerciali dei produttori. Tappe importanti di questo percorso sono state la Transparency policy lanciata nel 2010 e la pubblicazione dei dati clinici nel 2014 (poi temporaneamente sospesa e ripresa per i farmaci COVID).
Tali politiche di trasparenza hanno recentemente superato il vaglio della Corte di Giustizia (Pari Pharma, PTC Therapeutics InternationaleMSD Animal Health), che ha ribadito il principio del più ampio accesso possibile e l’eccezione, da interpretarsi in senso restrittivo, della confidenzialità. Si tratta di due cause intentate da aziende farmaceutiche che si opponevano al rilascio di documenti (studi clinici e report tossicologici e di equivalenza) ai sensi del Regolamento 1049/2001 ad aziende concorrenti. Quello della pubblicazione reattiva (e del contenzioso che ne deriva) è un contesto particolare, in cui il pubblico gioca un ruolo di secondo piano: la stragrande maggioranza delle richieste di accesso a documenti di EMA proviene infatti da altre aziende farmaceutiche, mentre le richieste provenienti da ricercatori, associazioni di pazienti o consumatori e media sono significativamente inferiori. Di qui la centralità di considerazioni basate sulla necessità di tutelare il segreto commerciale e di non inibire gli investimenti privati in ricerca e innovazione farmaceutica e la previsione di appositi meccanismi di salvaguardia, quali ad esempio l’identificazione obbligatoria per accedere ai dati e limitazioni sul loro utilizzo a fini commerciali da parte di terzi.
Pur in tale contesto, le decisioni della Corte ribadiscono la finalità essenzialmente democratica dell’accesso ai documenti. Nelle parole della Corte, la trasparenza ‘permette di conferire alle istituzioni dell’Unione una maggiore legittimità, efficienza e responsabilità nei confronti dei cittadini dell’Unione in un sistema democratico’. Il fatto che si tratti di informazioni tecniche non incide sul bilanciamento tra interesse pubblico e privato sancito dalla Corte.
Sviluppi simili, sia sul piano legislativo che giurisprudenziale, stanno riguardando anche l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (EFSA). A seguito delle controversie, di carattere tanto politico quanto scientifico, relative al rinnovo dell’autorizzazione del pesticida glifosato, Parlamento e Consiglio hanno approvato una riforma del regolamento 178/2002 sulla sicurezza alimentare. Tra le principali innovazioni introdotte dalla riforma del 2019, oltre ad un rafforzamento delle garanzie di indipendenza e oggettività degli studi alla base delle valutazioni di EFSA, vi è una riorganizzazione delle procedure per l’accesso alle informazioni, volta ad ampliare il novero dei documenti pubblicati proattivamente dall’Agenzia. In due decisioni (Tweedalee Hautala) sull’accesso agli studi sulla cancerogenicità del glifosato, la Corte ha fissato un nuovo standard di trasparenza per quando riguarda le informazioni relative alle emissioni nell’ambiente, stabilendo che esse godono di una presunzione assoluta di rilevanza pubblica, rispetto alla quale cadono le esigenze di tutela degli interessi commerciali. Anche in questo caso la Corte ha ricollegato l’accesso del pubblico agli studi scientifici al principio democratico: la trasparenza fa sì che ‘i diversi punti di vista vengano apertamente discussi, [e] contribuisce ad accrescere la fiducia di detti cittadini’ nelle istituzioni dell’Unione e nel loro funzionamento.
La trasparenza non è la panacea contro i mali democratici dell’Unione. ‘Troppa’ trasparenza può anzi generare effetti indesiderati quale l’informalizzazione dei processi decisionali o risultare inutile se relativa a informazioni difficilmente comprensibili dal pubblico. Tuttavia, la possibilità, anche astratta, di un maggiore scrutinio pubblico su valutazioni tanto tecniche quanto intrise di interessi anche confliggenti, gioca un ruolo fondamentale nel funzionamento di un circuito democratico ancora in costruzione, quale quello Europeo. L’approccio di EMA alla trasparenza nel contesto dei farmaci COVID è indubbiamente dettato dal contesto emergenziale, ma si colloca in un percorso già in atto verso una maggiore accessibilità delle informazioni scientifiche, che accomuna diverse agenzie europee. Sta ora a cittadini e società civile farne buon uso.